La Chiesa raccomandi ciò in cui crede,
ma distribuisca i condom attraverso le missioni.
È una questione di umanità.
Capisco e non capisco il clamore suscitato dai media dopo l’intervista a Joseph Ratzinger, che ha preso le distanze dall’efficacia del preservativo come rimedio contro l’aids in Africa e – immagino – nel mondo. In fondo si tratta di una non-notizia: la linea della Chiesa, infatti, è sempre stata quella di predicare un’altra via (certo impossibile e completamente immotivata, ma tant’è), quella della castità assoluta. E forse a far baccano intorno alle parole di un papa ultraconservatore c’è il rischio, sciagurato, di amplificarle.
In fondo, la dichiarazione del signor Ratzinger neppure condanna apertamente l’uso del profilattico, semplicemente invoca «un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro», il che onestamente non vuol dir nulla (e poi mi pare assurdo in bocca a chi predica l’universalità del diritto naturale – il diritto qui non c’entra, ma la natura sì e viene prima delle nostre costruzioni culturali). Ma il «modo nuovo», nella pratica, riguarda solo chi desidera applicarlo: per tutti gli altri c’è, ci deve essere, il preservativo.
Insomma, in assenza di minacce di scomunica, o di santa inquisizione, non vedo nulla di nuovo sotto il sole, se non in quella frase che afferma che, attraverso una distribuzione di preservativi, «il rischio è di aumentare il problema». E in che modo? Perché qui non è in causa la morale sessuale della Chiesa (io non la condivido, ma sono fatti miei: l’importante è che non sia imposta, poi ognuno si regola come vuole). Qui si parla di una malattia che uccide migliaia di persone, esseri umani, figlie e figli di Dio, secondo quell’ottica cristiana che il Vaticano si ricorda di mettere in pratica in modo piuttosto discontinuo. La Chiesa, per chi crede, è fondata sull’amore che viene da Dio: come può osservare impassibile l’enorme numero dei malati di aids?
Insomma, il Vaticano ha il diritto di dire ciò che vuole: proponga pure, se crede, un modello di vita fondato sull’astinenza. Ma poi ha il dovere di sfruttare la rete costituita dalle parrocchie e dalle missioni, presenti quasi in ogni angolo del mondo, per contrastare concretamente la diffusione del virus presso quelle persone che decidono di non seguire il suggerimento, e lo può fare solo in un modo: distribuendo gratuitamente i preservativi. Questo dovrebbero mettere in pratica i missionari, insieme a tutto ciò che già fanno per il corpo e lo spirito delle popolazioni più povere. Che, come non possono permettersi il cibo o un libro, non possono permettersi neppure un profilattico. Diversamente, la scelta della Chiesa sarà del tipo: meglio morto che peccatore, il che lascia il campo a un’arroganza che fa a pugni con il principio, evangelico, del non giudicare.
Ma la Cei, la Conferenza episcopale italiana, corre in soccorso al buon Ratzinger, attaccato, recentemente, non solo per aver criticato l’efficacia del condom, bensì anche per aver riaccolto nella Chiesa un vescovo negazionista della Shoah e, naturalmente, per le ingerenze nella vicenda Englaro. Peccato che le parole di Angelo Bagnasco and company vengano proprio alla vigilia del voto del Senato italiano sul «testamento biologico»: deve trattarsi della solita simpatica maniera di dimostrare che non c’è alcuna «ingerenza» da parte del Vaticano nella politica italiana. Bagnasco, infatti, definisce «grottesche» le accuse in tal senso: forse perché sa benissimo che i nostri parlamentari non hanno alcun bisogno d’essere spronati, stanno ben piantati da soli sulla via di san Pietro.
Segue la trascrizione delle parole di Benedetto XVI sul preservativo. A porre la domanda, martedì 17 marzo, era stato Philippe Visseyrias, giornalista del canale televisivo France 2.
D. – Santità, tra i molti mali che travagliano l’Africa, vi è anche e in particolare quello della diffusione dell’Aids. Lei affronterà questo tema, durante il viaggio? La posizione della Chiesa cattolica sul modo di lottare contro di esso viene spesso considerata non realistica e non efficace.
R. – Io direi il contrario: penso che la realtà più efficiente, più presente sul fronte della lotta contro l’Aids sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti, con le sue diverse realtà. Penso alla comunità di Sant’Egidio che fa tanto, visibilmente e anche invisibilmente, per la lotta contro l’Aids, ai camilliani, a tutte le suore che sono a disposizione dei malati… Direi che non si può superare questo problema dell’Aids solo con slogan pubblicitari. Se non c’è l’ anima, se gli africani non si aiutano, non si può risolvere il flagello con la distribuzione di preservativi: al contrario, il rischio è di aumentare il problema. La soluzione può trovarsi solo in un duplice impegno: il primo, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro, e secondo, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, a essere con i sofferenti. E questi sono i fattori che aiutano e che portano visibili progressi. Perciò, direi questa nostra duplice forza di rinnovare l’uomo interiormente, di dare forza spirituale e umana per un comportamento giusto nei confronti del proprio corpo e di quello dell’altro, e questa capacità di soffrire con i sofferenti, di rimanere presente nelle situazioni di prova. Mi sembra che questa sia la giusta risposta, e la Chiesa fa questo e così offre un contributo grandissimo e importante. Ringraziamo tutti coloro che lo fanno.
PS: Conoscevate gli obiettori del pelo? Questa volta il Vaticano c’entra e non c’entra, ma leggetevi dove certo clima bigotto e sessuofobo sta portando il Paese. Si tratta di una cosa francamente incerdibile, ma mi sono fatto l’idea che sia vera. Staremo a vedere gli sviluppi.