Oggi [ieri per chi legge] ho telefonato a Vittorio Arrigoni, a Gaza.
Questa sera, all’espace populaire di Aosta (il circolo Arci di cui
faccio parte) avremmo dovuto tentare di raggiungerlo con un collegamento telefonico, nell’ambito di una serata per la Palestina, poi rimandata a causa
di una nevicata eccezionale. Sarebbero dovuti intervenire lo scrittore
palestinese Muin Masri, collaboratore del giornale «Internazionale», e
Enrico Levati, che avrebbe presentato il video «Diary of Beirut». La
serata si farà quanto prima possibile.
A Vik, intanto, ho chiesto com’è la situazione dall’altra parte del Mediterraneo.
Mi ha detto che al momento gli sfollati sono 50 mila soltanto nelle scuole dell’Onu.
Che siccome la tregua è unilaterale, Israele si permette di violarla unilateralmente.
Che ieri una donna e un bambino sono stati gravemente feriti.
Che la marina israeliana ha aperto il fuoco sulle barche dei pescatori che uscivano in mare.
Ciò nonostante, mi ha detto, lentamente la vita a Gaza riprende, i
negozi riaprono e arriva qualche rifornimento. Ma la paura della gente
è quella di tornare alla situazione precedente la “guerra”: l’assedio.
Le notizie che giungono dai Paesi dell’Unione, con gli aiuti europei
congelati, sembrano andare in questa direzione.
L’unica arma che abbiamo per costringere Israele a cambiare politica,
ripete Vittorio, è il boicottaggio delle merci israeliane (quelle il
cui codice a barre comincia con 729).
***
Boicottare i prodotti israeliani è il modo migliore per intervenire a
favore della popolazione di Gaza: in fondo è stato proprio l’isolamento
economico a far finire l’Apartheid in Sudafrica. La notizia che a Roma
le saracinesche di 22 negozi gestiti da ebrei sono state sigillate con
il silicone e imbrattate di scritte «Boicotta Israele» dai fascisti di
«Militia», tuttavia, impone ancora una volta di riaffermare la
distinzione tra boicottaggio economico delle esportazioni israeliane e
attacco antisemita contro gli appartenenti alla cultura e tradizione ebraica e le loro proprietà. Criticare le
scelte politiche di un Paese non è un atto di razzismo e il
boicottaggio è un’efficace risposta nonviolenta alla ferocia del
«piombo fuso», alla devastazione della Striscia e all’uccisione di più
di 1.300 esseri umani. Il boicottaggio economico dello Stato d’Israele
non minaccia in alcun modo di ridurne gli abitanti alla fame, mentre da
anni la popolazione di Gaza subisce le conseguenze della chiusura dei valichi che la separano dal resto del mondo. D’altronde,
abbiamo il dovere di criticare chi, conducendo una politica criminale,
condanna il “nemico” – e con lui anche il proprio popolo – a lutti
senza fine e a una perpetua inimicizia. Nei 22 giorni dell’offensiva
israeliana la distruzione a Gaza ha conosciuto un crescendo
inarrestabile, nel corso del quale sono stati massacrati civili,
colpite ambulanze e moschee, dati alle fiamme ospedali e impiegate armi
non convenzionali o comunque vietate nelle aree urbane. «Ho servito
come artigliere nella divisione M109 dell’esercito israeliano dal 2000
al 2003 e sono stato addestrato a utilizzare le armi che Israele sta
usando a Gaza», scrive sul manifesto del 22 gennaio Simcha Leventhal,
veterano dei corpi di artiglieria dell’esercito israeliano e membro
fondatore di Breaking the Silence. «So per certo che le morti di civili
palestinesi non sono una sfortunata disgrazia ma una conseguenza
calcolata. Le bombe che l’esercito israeliano ha usato a Gaza uccidono
chiunque si trovi in un raggio di 50 metri dall’esplosione e feriscono
con ogni probabilità chiunque si trovi a 200 metri. Consapevoli
dell’impatto di queste armi, le gerarchie militari impediscono il loro
uso, anche in combattimento, a meno di 350 metri di distanza dai propri
soldati (250 metri, se questi soldati si trovano in veicoli
corazzati)». Sono le famigerate «bombe al fosforo bianco», ma non
bisogna chiamarle così: «Durante il nostro addestramento», spiega
Leventhal, «i comandanti ci hanno detto di non chiamare queste armi
“fosforo bianco”, ma “fumo esplosivo” perché il diritto internazionale
ne vietava l’uso» [leggi tutto l’articolo]. Fosforo bianco e uranio impoverito rischiano di
tradursi in tumori e neonati deformi. Per questo, nelle città
israeliane di Sderot e Aschkelon, le più vicine alla Striscia, i
cittadini hanno chiesto al loro governo delucidazioni sulle armi usate
per il massacro, timorosi che le conseguenze sanitarie possano varcare
la frontiera di Gaza. Nonostante il blocco israeliano.
La foto di questo articolo è dei miei.