Alitalia (e certo anche la povera scuola pubblica) mi stanno portando a riflettere sul ruolo del sindacato oggi. Non voglio essere ingeneroso nei confronti dei tanti sindacalisti che si prodigano, magari su base volontaria, per risolvere i problemi individuali dei lavoratori: ho in mente volti e nomi cari e so che fanno tutto ciò che è in loro potere per aiutare i propri iscritti – e a volte pure i non iscritti. E tuttavia, nel clima attuale di "riflusso", mentre il capitale cerca (coerentemente con la propria strategia) di prevalere sul lavoro, quello che da parte dei lavoratori sembra venir meno è un disegno di ampio respiro, finalizzato a confermare le conquiste del passato, oggi sotto attacco, e a conseguire traguardi ulteriori. Perché non ammettere che le classi sociali esistono ancora e che non si sono affatto “riconciliate”, se è vero che, nelle democrazie occidentali, aumentano le ineguaglianze economico-sociali? Bisognerà allora accettare l’esistenza di quel «conflitto sociale», evidentemente in corso, che Walter Veltroni si affannava a negare in campagna elettorale, assumendo che imprenditori e operai erano sulla stessa barca. Dovrebbe dirlo ora che, in fondo in fondo, Colaninno e gli assistenti di volo precari sono sullo stesso aereo!
Tornerò ancora sull’argomento e chissà che non mi riesca di scrivere una lettera ai principali sindacati per chiedere un paio di cose. Principalmente, vorrei sapere che cosa pensano di un ragionamento non mio, che riporto qui sotto.
Sul manifesto di martedì 16 settembre ho letto con vivo interesse l’articolo di Dino Greco su Alitalia e sul ruolo del sindacato. «Con la vicenda Alitalia e con l’ormai prossimo epilogo della trattativa sul modello contrattuale», esordisce il sindacalista, «entrambi recanti il sigillo dell’aquila confindustriale, si materializza il progetto di un nuovo paradigma, sociale, politico, il cui tratto distintivo è quello di una indiscussa egemonia del capitale sul lavoro. E si cementa un blocco politico-sociale che proietta definitivamente l’Italia fuori dalla sua Costituzione, stracciandone anche quel titolo III che disciplina le relazioni economico-sociali, fissando nel primato e nella tutela della dignità e della sicurezza del lavoro il limite invalicabile dell’iniziativa privata».
La Costituzione, insomma, fissa gli obiettivi dell’agire pubblico nel vantaggio dei cittadini: la Repubblica ha il dovere di creare le condizioni che possano permettere al cittadino di realizzare se stesso, anche e soprattutto attraverso il lavoro, sul quale la Repubblica è «fondata». Il nuovo «blocco politico-sociale», invece, sposta l’accento dal lavoratore al proprietario. «Con l’arroganza di chi pensa che ormai tutto le sia possibile», afferma Greco, «Confindustria mette a tema la liquidazione del contratto nazionale e, con esso, del sindacato», nei confronti del quale sono utilizzate, tutto sommato, parole di fuoco. «Quello che si delinea è il modello di un sindacato collaborativo, la cui funzione essenziale è di immolare i lavoratori al dogma della competitività, tutta costruita sulla flessibilità assoluta del mercato del lavoro e della prestazione […] La rivendicazione di un’alterità, di una soggettività culturale e politica del lavoro è messa al bando come un’anacronistica velleità».
Un «premio», tuttavia, corrisponderebbe all’«eutanasia del sindacato di classe»: «la proliferazione di una pervasiva rete di commissioni bilaterali che sostituiscono la contrattazione, inibiscono il conflitto, assicurano al sindacato la sussistenza economica grazie alle quote di servizio obbligatorie che rendono via via ininfluenti quelle associative, volontarie». In questo modo il sindacato si trasforma, sopravvivendo come un «corpo burocratico», «parastatalizzato», «gestore di servizi a domanda individuale, ingranaggio del potere costituito e di quella comunità solidale che è l’impresa».
Greco conclude con un appello alla Cgil, perché sappia sottrarsi «al ricatto di un finto negoziato». Quello che oggi è in gioco, infatti, è l’avvenire del sindacalismo italiano, «perché qui non si tratta di arretrare i confini di una trincea difensiva: qui c’è la richiesta di capitolazione, la dichiarazione sottoscritta di subalternità del lavoro all’impresa».
Leggo su internet che la trattativa sarebbe fallita, che la Compagnia aerea italiana (Cai) avrebbe ritirato l’offerta perché la situazione di Alitalia e dei mercati internazionali non permetterebbe di allungare i tempi della contrattazione. Magari mentre scrivo queste righe la situazione è già cambiata ma, pur con tutta la preoccupazione del mondo per le sorti dei lavoratori, credo proprio che sarò contento, se la Cgil non sarà capitolata… Però non date retta al bluff dei nostri «imprenditori coraggiosi», che tra due giorni torneranno al "salvataggio": non si puà accettare tutto. Tenete duro!
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