Ma se ghe pensu… Se ghe pensu m’incazzo, non c’è altro da fare.
Come quando leggo le cronache degli ordinari soprusi di regimi lontani. Ricorda molto il Cile di Pinochet questa mia Italia del luglio 2001… Sono passati sette anni e chi ha reso possibile la mattanza di Genova, al G8, è nuovamente candidato alla poltrona del governo. Chi l’ha eseguita è stato promosso ed è, al momento, Commissario ai rifiuti campani. Intanto si profila all’orizzonte un nuovo G8 italiano, meta prescelta l’isola della Maddalena.
Occorre ricordare, allora. Magari prima del 13 aprile, prima di decidere che Berlusconi è una buona carta perché ci toglierà la tassa sulla casa, perché Prodi ha imposto troppi sacrifici e, in breve, perché il centrosinistra ha deluso (il che, peraltro, è vero). Occorre ricordare chi sono questi signori, che candidano le Mussolini e i Ciarrapico e che si apprestano a mettere le mani sulla Costituzione con la connivenza del Partito democratico e del Quirinale. Occorre ricordare Bolzaneto, la «Guantanamo italiana», contro chi minimizza, perché – dice – «i delinquenti mica si possono trattare con i guanti».
E allora ricordiamo, scorrendo gli atti d’accusa dei pm di Genova, che nel processo in corso han chiesto 76 anni di carcere per i 44 imputati accusati di «trattamenti inumani e degradanti» contro i fermati portati a Bolzaneto. Ricordiamo donne e uomini giovanissimi, per la legge presunti innocenti, accolti a base di sgambetti, di calci, d’insulti e di minacce da parte degli agenti. Il corridoio che porta alle celle, percorso tra due ali di poliziotti pronti a picchiare. Ci si ferma, alla fine: a gambe larghe, in piedi, con le braccia in alto, contro il muro. Gli arrestati sono costretti a gridare «Viva il Duce!», a cantare «Un due tre, viva Pinochet!». Il che dimostra, al di là della prevaricazione, un certo gusto per i dittatori da parte delle forze dell’ordine della nostra democratica Repubblica… C’è chi è costretto a lasciare la cella sfilando con passo militare e braccio proteso nel saluto fascista. Una venticinquenne genovese denuncia minacce e insulti sessisti: «Gli agenti, dalla finestra della cella, ci insultavano: “puttane”, “troie”, “ora vi scopiamo tutte”». Le ragazze venivano minacciate di stupro, «come in Bosnia».
Accuse di lesioni, omissione di soccorso, abuso di atti d’ufficio motivano la richiesta di tre anni e sei mesi di carcere per Giacomo Toccafondi, il medico responsabile dell’infermeria della caserma. Che avrebbe schernito i giovani fermati, nudi davanti a lui per la visita medica, avvicinando loro il manganello al volto. È lui che avrebbe costretto una donna con le mestruazioni a togliersi un piercing dalle parti intime, sotto lo sguardo di tutti. Sempre lui avrebbe strappato altri piercing ad altri giovani.
Di fronte all’orrore, all’arbitrio, non possiamo dimenticare. Nel luglio del 2001 in Italia lo Stato di diritto è stato sospeso. Decine di cittadini sono stati fermati e oltraggiati, picchiati, tra loro ragazze e ragazzi alla prima esperienza politica. Così lo Stato italiano rispondeva a chi chiedeva un mondo migliore, non imperniato sulla repressione delle diversità e sulla logica del liberismo egoista. Sette anni dopo, le accuse di «tortura» pronunciate al processo di Genova sono accolte dal silenzio, assordante, della politica e dei media, mentre gli attentati dell’11 settembre hanno fornito il pretesto necessario per rendere accettabile in tutto il mondo la restrizione delle libertà civili, dei diritti individuali. Oggi è sufficiente equiparare no global e terroristi per rendere legittimo agli occhi di molti quanto accaduto a Bolzaneto, o alla Diaz: le percosse, le violenze fisiche e psicologiche, le lesioni, le minacce. Come se la violenza fosse accettabile. Come se le istituzioni democratiche avessero il diritto di praticare la vendetta, colpendo e castigando persone inermi (quand’anche fossero state tutte colpevoli). Se le accuse dei pm saranno confermate, i rappresentanti dello Stato che hanno umiliato, picchiato e torturato andranno incontro a pene tutto sommato lievi, cui probabilmente sfuggiranno del tutto, perché i reati di cui sono accusati cadranno in prescrizione l’anno prossimo. Ma nulla di tutto questo sarebbe stato possibile senza un’idea d’impunità, diffusa tra le forze dell’ordine, sulla fede democratica delle quali sarebbe il caso d’interrogarsi. Sette anni sono passati e i torturatori di Bolzaneto hanno fatto carriera. Quei politici che li hanno coperti (se non istruiti) sono ancora ai loro posti, in corsa per Palazzo Chigi. Meditare queste cose è opportuno, prima del 13 aprile. Ma se ghe pensu troppo…
PS: Nei giorni scorsi, Repubblica ha riscoperto il caso. Walter Veltroni, di conseguenza, pure. Il candidato premier del PD ha dichiarato che «uno Stato democratico non si può rendere responsabile di quello che è accaduto al G8» e ha parlato di «accertare eventuali responsabilità politiche». Questo dimostra, se non altro, il ruolo che potrebbe avere l’informazione nell’imporre le emergenze democratiche all’agenda politica, se solo l’informazione fosse libera e seria.
Le foto di questa pagina si riferiscono, in realtà al No War No Bush Day di Roma (lo scorso 9 giugno). La seconda immagine ritrae Luca Casarini, leader delle tute bianche al tempo del G8.