Quando ci abituano a viaggiare stipati come buoi, dopo diventa difficile protestare per la privazione dei diritti. L’abitudine fa e dopo un po’ crediamo anche alle loro barzellette: che non ci siano i soldi, per cominciare, quando si danno fondi sempre più consistenti alla Difesa, quando si fanno sgravi a imprenditori impegnati a precarizzare l’intera società nel tentativo donchisciottesco di competere coi cinesi sul costo del lavoro, quando ci si prodiga in aiuti alle scuole private. Tutto ciò ha ben poco di costituzionale, perché i tre aspetti sopra citati cozzano mirabilmente con altrettanti articoli della Costituzione. (Art. 11: L'Italia ripudia la guerra; Art. 4: La Costituzione riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto; Art. 33: Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza onere per lo Stato) Forse la rivoluzione la fanno i poveracci, perché chi c’ha ha troppo per rischiarlo. Così la nostra società ha compiuto il gran prodigio, tenendoci sospesi in mezzo a un limbo: troppo benestanti per volerci ribellare, troppo poveri per far valere i nostri diritti. Siamo una massa di consumisti a rischio povertà, pronti a scannarci per una manciata di perline, a dare addosso al primo lavavetri, che c’indispone per la troppa somiglianza con noialtri.
Da Chivasso a Milano c’è un’ora e mezza di ferrovia e hanno messo i treni nuovi, quelli a due piani. Sembrano moderni, forse puliti, forse luminosi. Salgo e non credo ai miei occhi: siamo a un passo dal lusso. Mi accorgo, però, di essere in prima classe e comincio ad attraversare il treno per raggiungere la seconda.
Quando vi arrivo, mi sembra di trovarmi in una scatola di sardine: la distanza tra una poltroncina e l’altra è così poca che mi chiedo dove potrebbe mettere le gambe uno un po’ più alto del normale. Comunque, per me il problema non si pone, perché c’è troppa gente e non so dove sedermi. Nelle vecchie carrozze un posto vuoto era facilmente occupabile. Qui sedere accanto a un estraneo appare un’aggressione al suo spazio vitale. Anche per i bagagli non c’è il minimo spazio: le mensole sopra i finestrini permettono soltanto di posare giacca e ventiquattrore, forse nella convinzione che il treno sia solo per i pendolari che vanno al lavoro. Io mi sistemo nello spazio davanti alla porta, mi siedo sui gradini che vanno al piano superiore. Qui lo spazio è tanto. Tommaso Padoa Schioppa dirà che per una spesa di 10 euro e 50 (il biglietto di seconda classe da Aosta a Milano) non posso lamentarmi. In fondo, le nostre tariffe sono tra le più basse d’Europa!
A Vercelli scende molta gente, così raggiungo l’ambito scranno. Sembra più comodo di quanto pensassi: c’è persino il tavolino che s’abbassa, come in aereo, dove appoggio il portatile. Ma il senso di claustrofobia è quello. Uno schermo sulla parete di fondo del vagone m’informa, intanto, che stiamo procedendo alla folle velocità di 43 km/h e quasi mi spavento. In ogni caso, un’ora passa presto: vorrei che i signori del governo pigiassero qua sopra, per leggersi il racconto di un viaggio un po’ più lungo, quasi un’odissea, dalla stazione di Brindisi a Torino.
Tutte le settimane Silvia fa la pendolare Aosta-Milano. «Non so dove mettere i bagagli», mi dice. «I nuovi treni sono pensati soltanto per chi va a Milano in ufficio». «Cambiare le carrozze non ha risolto il problema del sovraffollamento», aggiunge. «Piene erano quelle vecchie e piene sono le nuove. Magari ora ci sono più posti a sedere, ma visto che in certi orari la gente deve viaggiare in piedi, mi chiedo se non sarebbe stato più utile aggiungere qualche vagone». «I nuovi treni», infine, «sono scomodi e stretti e spesso a fianco a te non c’è neppure il finestrino».
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