Ieri pomeriggio Giorgio Cremaschi era all'Espace populaire di Aosta per spiegare le ragioni del NO al referendum dei lavoratori, che dovrà legittimare o bocciare l'accordo sul welfare dello scorso 23 luglio tra Cgil, Cisl, Uil e il governo. Ho rischiato di perdere l'appuntamento perché credevo che fosse di sera. Quella di Cremaschi, invece, è stata una rapidissima toccata e fuga, prima di proseguire per Cuneo,
dove aveva un altro incontro. Questo semplice fatto dà l'idea
dell'energia che i sostenitori del NO stanno profondendo in assemblee e
incontri in tutta l'Italia, nel tentativo di impedire un accordo tremendo per tutti i lavoratori.
Cremaschi esordisce prendendosela con i mezzi d'informazione. In TV si litiga spesso su cose che non esistono, come il superamento dello scalone Maroni, necessario per il centrosinistra, assolutamente sbagliato per il centrodestra. Ebbene, dice il sindacalista della Rete 28 Aprile, l'accordo del 23 luglio non contiene alcun superamento dello scalone. Prevede un po' d'attenuazione adesso, per poi proporre scalini molto ripidi più avanti. "Bersi un aumento di cinque anni dell'età pensionabile", sostiene Cremaschi, "è una catastrofe sociale e non è un caso se Confindustria è contenta dell'accordo mentre gli operai di Mirafiori lo hanno fischiato". Anche perché l'emergenza pensioni è il frutto di una campagna finta, organizzata dai centri economici internazionali, fondata su calcoli ipotetici basati sul possibile allungamento della vita umana. "Sono le grandi agenzie di rating", dice Cremaschi, "quelle che dovrebbero occuparsi degli scandali finanziari, come Parmalat, a prendersela con le pensioni". Oggi i nostri lavoratori non possono arrivare a 62 anni. Persino Montezemolo ha chiesto il ritiro a 50 anni per gli operai addetti alla catena di montaggio. Oggi la gente si ammala di lavoro, perché il lavoro è diventato più faticoso, usurante. "Solo dopo un miglioramento delle condizioni generali di lavoro", continua Cremaschi, "sarebbe possibile aumentare l'età pensionabile". E fa l'esempio della Germania, dove esistono le 35 ore settimanali. Ciò che più dispiace, infine, nel tentativo di rubare ai lavoratori la dovuta pensione è la considerazione che oggi le casse dell'Inps sono in attivo.
L'accordo del 23 luglio danneggia la condizione dei lavoratori e produce precari di mezza età che si disputeranno il lavoro con i precari più giovani. Ai giovani, intanto, vengono tagliate le pensioni future. Si era detto no al taglio dei coefficienti di calcolo, ma dal 2010 essi saranno sottoposti a una specie di "scala mobile a rovescio", che li decurterà automaticamente, senza possibilità di contrattazione delle parti sociali. Nel 2010 la pensione scenderà dell'8% e ci saranno altri tagli automatici, al punto che, tra dieci anni, chi andrà in pensione riceverà non più il 70, ma il 50% dell'ultimo stipendio e per di più senza liquidazione.
Se poi volessimo credere che l'Italia non aveva altra strada che assecondare Confindustria e i centri economici internazionali, per Giorgio Cremaschi sindacati e governo avrebbero potuto, tagliando le pensioni, dare almeno qualcosa in cambio dal punto di vista della sicurezza del lavoro. "Nessuno chiedeva all'Italia di mantenere la legge 30, anche perché contro la legge 30 erano scese in piazza milioni di persone". "Il compito del sindacato", commenta Cremaschi, "è quello di giudicare i fatti, non di decidere che i fatti cambiano a seconda di chi c'è al governo". Certe
leggi (e questi sono i fatti) legalizzano situazioni di sfruttamento
indecenti, poiché la precarietà serve soltanto a ricattare la gente. Il che ha anche un'incidenza sugli incidenti sul lavoro, che ogni anno mietono in Italia 1300 vittime: a un lavoratore a tempo indeterminato non puoi chiedere di fare certe cose, a chi rischia di non vedere rinnovato il contratto sì.
Prima dell'accordo, la legislazione sulla precarietà era quanto meno incerta. Ora è leggittimata dalla firma sindacale. E se prima non potevi firmare un nuovo contratto a termine dopo 36 mesi, adesso è sufficiente l'accordo del sindacato per aggirare l'ostacolo e perpetuare il regime di precarietà. Si tratta, insomma di "un accordo in perdita", dove "non c'è un pezzettino in avanti. E' un accordo che pesa tutto sulle spalle del mondo del lavoro".
Perché l'hanno fatto, allora? Lo ha spiegato Epifani: perché sennò cade il governo. "Il sindacato", conclude Cremaschi, "non ha fatto il suo mestiere: si è fatto condizionare dalla paura di far cadere il governo amico". Un
ragionamento assurdo, se si considera che, prima o poi, un governo
passa, mentre un accordo scritto rimane nel tempo, anche quando al
governo non ci saranno gli "amici".