Visto che in questo momento mi trovo in Valle d'Aosta, potrà sembrare strano, ma ieri sera sono entrato in possesso di una copia del Quotidiano di Brindisi, per leggere la cronaca della giornata terribile della riserva di Torre Guaceto. Fortunatamente, rispetto ai toni che ho utilizzato ieri («la riserva è morta»), sembra sia lecito maggior ottimismo: vigili del fuoco e guardie forestali dovrebbero essere riusciti a scongiurare i pericoli maggiori, impedendo alle fiamme di raggiungere la parte centrale dell’oasi. L’incendio, comunque, è andato avanti per ore, distruggendo numerosi ettari di canneto e macchia mediterranea, in una zona abitata da rettili (serpenti, tartarughe) e altri animali acquatici.
Dopo le fiamme, nella lunga fascia a ridosso della superstrada (dove, se non sbaglio, erano tutti eucalipti) è rimasta soltanto «un’immensa pianura nero-fumo», per usare le parole del giornale. Erano 9 anni che la riserva di Torre Guaceto non veniva attaccata dai piromani. Sulle origini dolose dell’incendio, nessun dubbio: il prefetto di Brindisi, Mario Tafaro, parla apertamente di «omicidio» e aggiunge che «i piromani andrebbero condannati allo stesso modo di chi uccide».
Gino Cantoro, vicepresidente del consorzio di Torre Guaceto e coordinatore delle aree protette WWF in Puglia, ricostruisce la giornata: già la mattina alle 11 i piromani avevano tentato di appiccare il fuoco, ma le fiamme erano state subito spente dai soccorritori. Alle 15, però, gli incendiari sono tornati alla carica e, con l’aiuto di un forte scirocco, il rogo si è trasformato in un inferno.
«In questo momento è importante fare il conto dei danni», dice Cantoro. «Per fortuna», aggiunge, «la macchia mediterranea non è stata eccessivamente coinvolta». Le conseguenze, insomma, potevano essere più gravi. Ciò nonostante, è vasta la zona distrutta, anche se il canneto dovrebbe essere ripristinato l’anno prossimo.
Quello di Torre Guaceto non è certo stato l’unico incendio di questi giorni. La stessa giornata, ad esempio, e la stessa regione, ha prodotto il rogo della zona boschiva di San Marco in Lamis, nel foggiano, mentre stamattina tutti i giornali titolavano «L’Italia va a fuoco», con riferimento – tra l’altro – a due morti e un disperso in provincia di Messina. Il manifesto parla della più grande offensiva ecomafiosa degli ultimi tempi. Nell’articolo di fondo, firmato da Massimo Serafini e titolato «Chi accende la miccia», l’accento è posto sulle responsabilità della politica, di chi potrebbe – forse – fermare un fenomeno che nel solo 2006 ha cancellato 40.000 ettari boschivi, soprattutto nel Meridione (Sicilia e Calabria le regioni più colpite). L’offensiva di quest’anno, secondo Serafini, è più radicale e si concentrerebbe proprio in quelle regioni in cui maggiori sono le «inadempienze di legge».
La repressione, infatti, non può bastare, da sola, a fermare questo fenomeno (il ministro Parisi ha proposto d’inviare l’esercito nel tentativo, suppongo, di dimostrare che il titolo di Difesa per il suo ministero non è del tutto usurpato). Per Serafini, sono necessarie politiche di «prevenzione», destinando più risorse a vigili del fuoco e forestale e finanziando la formazione e costruzione di una rete di avvistatori d’incendi. «Sarebbe», prosegue, «una buona occasione per i comuni delle aree protette, e più in generale delle aree verdi, per formare e mettere al lavoro tanti giovani e riconquistare il controllo del territorio».
Ma la parte centrale del discorso di Serafini è la necessità d’istituire un «catasto delle aree […] percorse dal fuoco», necessario al fine di poterle vincolare, impedendo così qualsiasi speculazione nelle aree incendiate. A quanto pare, infatti, dove questa responsabilità è stata assunta dalle amministrazioni comunali, la piaga degli incendi boschivi si è ridotta, come in Liguria e in Toscana. Dove il catasto non è stato approntato, i roghi sono aumentati, come in Sicilia.
Questo articolo è corredato da immagini della natura. Due rappresentano gli ulivi secolari posti ai margini della riserva di Torre Guaceto; la terza non c’entra nulla, ma è comunque di ambientazione salentina. Non possiedo – è vero – fotografie d’incendi; ma credo che proporre il bello sia più utile che mostrarne la distruzione. Voglio dire che ognuno di noi deve fare la propria parte per garantire il rispetto del proprio territorio. Per riconquistarne, come si diceva più su, «il controllo». Magari denunciando ogni più piccolo attacco. Magari frequentando le aree naturali e protette, e dimostrando così il loro valore commerciale in un mondo che comprende soltanto l’utile economico. Ne riparleremo.
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