Rahmatullah Hanefi è in prigione e rischia la condanna a morte per aver aiutato il governo italiano. Ieri, 25 aprile, ho inviato una mail a Prodi e a D'Alema. Il testo è nella parte estesa di questo articolo. Ricordo un'iniziativa:
Copia e incolla la frase sottostante, corredala di nome, cognome e città di residenza, oltre all'eventuale precisazione “cittadin* italian*”, e inviala a trasparenzanormativa@governo.it
Alla c.a. del Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Romano Prodi
E p.c. al Ministro degli Esteri, On. Massimo D’Alema
25 aprile 2007, Festa della Liberazione
Signor Presidente,
le scrivo per chiedere il suo intervento in una questione di grande rilevanza morale, che riguarda direttamente il senso della presenza italiana in Afghanistan.
Rahmatullah Hanefi è accusato di «concorso in omicidio» per l’uccisione del giornalista afgano Adjmal Nashkbandi e rischia di essere condannato a morte.
Rahmatullah Hanefi aveva condotto le trattative con i talebani per la liberazione dell’inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, liberazione poi avvenuta lo scorso 19 marzo. Sin dal principio, la Presidenza del Consiglio e il Ministero degli Esteri italiani avevano richiesto (e ottenuto) la mediazione dell’ong Emergency, operante in Afghanistan con diverse strutture sanitarie. A seguito di questa richiesta, Gino Strada aveva incaricato Hanefi, il manager dell’ospedale di Emergency a Lashkargah, dei contatti con i rapitori.
Rahmatullah Hanefi, insomma, è oggi «una persona […] accusata per ciò che ha compiuto in attuazione di richieste della Presidenza del Consiglio e del Ministero degli Esteri», come ha rilevato Gino Strada in un recente comunicato stampa. «Fonti anonime» (lo apprendiamo dal Corriere della Sera del 23 aprile) accusano l’operatore di Emergency di aver lasciato volontariamente Nashkbandi in mano ai rapitori, rendendone possibile la decapitazione.
Signor Presidente, perché il governo italiano rimane in silenzio di fronte a un’accusa così grave e, al tempo stesso, infondata? O si dovrà credere che il nostro Paese abbia affidato la gestione di una faccenda delicata come la liberazione degli ostaggi a un fiancheggiatore dei talebani? Queste domande necessitano di una risposta. Ne va della stessa credibilità del governo, nonché della reputazione internazionale dell’Italia. L’impressione dei cittadini, di chi non ha accesso alle carte (o al numero telefonico del presidente afgano Hamid Karzai) è che l’arresto di Hanefi sia il prezzo pagato da Kabul, con la sostanziale connivenza di Roma, ai malumori americani, seguiti alla scarcerazione dei prigionieri talebani che i rapitori avevano preteso per liberare gli ostaggi. Con l’accusa verso l’intermediario di Emergency, Washington ha voluto mettere in chiaro che la gestione del rapimento da parte del governo italiano è da biasimare, “perché non si patteggia con i terroristi”. È un vero e proprio atto di accusa alla politica della trattativa, al fine di evitare qualsiasi possibilità che il dialogo rosicchi un po’ di spazio alla logica della contrapposizione totale.
Se l’obiettivo delle autorità afgane era quello di liberarsi di Emergency, mettendo da parte l’unica organizzazione umanitaria capace di operare in Afghanistan superando la logica della guerra, l’obiettivo sembra raggiunto. Colpire Emergency significa interrompere i contatti con la società civile, quella società che non chiede l’invio di altre armi, ma un’autentica ricerca dell’accordo tra le parti; quella società che ogni giorno di più concepisce gli eserciti occidentali come forze di occupazione.
Ai tempi del voto sul rifinanziamento della missione italiana in Afghanistan, Signor Presidente, alcuni elementi della maggioranza di governo avevano dichiarato che il giusto antidoto all’escalation militare era dare più spazio all’azione civile. Oggi Emergency lascia il Paese, mentre nuovi mezzi e nuovi soldati raggiungono il contingente italiano. È tutto qui quello che l’Italia ha da offrire al mondo?
Concludo questa lettera, Signor Presidente, ricordandole che le persone curate in Afghanistan da Emergency sono state finora centinaia di migliaia. Che 151.855 cittadini italiani hanno firmato l’appello di Emergency per la liberazione di Rahmatullah Hanefi e sono quasi 7.000 le firme raccolte dal nuovo appello di Repubblica (“Una chiave per liberare Rahmatullah Hanefi”). Che quasi 6400 persone hanno chiesto l’attribuzione del nobel per la pace a Gino Strada. Che l’intero arco costituzionale italiano, fatta eccezione per l’onorevole Gasparri di Alleanza Nazionale, ha concordato nel ritenere pretestuosi gli elementi sollevati contro Rahmatullah Hanefi dai servizi segreti afgani.
Oggi è il 25 aprile, data della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo e della fine della seconda guerra mondiale. Una data ricca di significato e di speranza. Dopo il Ventennio fascista, incominciava una nuova era di pace e di libertà, basata sul riconoscimento e sulla tutela dei diritti umani. Presidente Prodi, in questo giorno di festa il Paese attende una sua parola.
Mario Badino