Torino, conferenza “Incompatibili con la guerra e il neoliberismo”, organizzata da Sinistra Critica. Sono curioso di guardare in faccia Franco Turigliatto, l’astensionista del voto al senato e perciò (a seconda dei gusti) l’eroe, il rinnegato, l’anima bella del parlamento italiano. Volevo sentire come avrebbe spiegato la sua scelta e quali sono, secondo lui, le prospettive future.
Molte polemiche hanno seguito il voto sulla politica estera del governo Prodi. Tanti, tantissimi, anche a sinistra, non hanno compreso la scelta dei due senatori che, con la loro astensione, hanno rischiato di riaprire a Berlusconi le porte di Palazzo Chigi.
Sui giornali ho letto le lettere indignate di tante e tanti cittadini, compresi i compagni e le compagne di Rossi e Turigliatto, che in generale condividono la scelta morale, ma condannano la mancanza di realismo da parte dei due “ribelli”.
La domanda che pongono è pertinente: a chi ha giovato la mini crisi di governo? E si rispondono: a quelle forze centriste che non aspettavano altro per mettere a tacere le istanze più progressiste interne alla maggioranza (e al suo programma di governo, aggiungerei). Ed ecco i 12 punti di Prodi.
Propongo una cronaca-riassunto della serata, che ha visto interventi, fra gli altri, di Franco Turigliatto, Gianni Alasia, Olol Jackson (comitato No Dal Molin), Giorgio Cremaschi e Marco Revelli, più un esponente del movimento No Tav, Emanuele (?), di cui mi sono perso il cognome e Marco Congiu, in rappresentanza degli operai dell’Iveco.
La prima cosa che mi colpisce è il volto. Turigliatto ha la faccia pulita e onesta, quasi non sembra di avere a che fare con uno dei rappresentanti del Palazzo, e forse il mio stupore la dice già lunga sul fossato che separa politici e società civile.
Commenta la maggioranza quasi assoluta con cui alla camera è passato il voto sull’Afghanistan, chiedendosi in che misura possa ritenersi rappresentativa della popolazione italiana. Parla dell’escalation bellica che attende i nostri soldati, dei giochi di potere a Palazzo, dell’assenza dalla vita politica del nostro Paese dei problemi sociali.
Torna sul tema della grande manifestazione di Vicenza dello scorso 17 febbraio, venuta a inserirsi in un momento di indebolimento della rappresentatività del governo e di crisi del consenso popolare. Di fronte alle migliaia di manifestanti la risposta dell’esecutivo è stata contraddittoria, con Prodi che in serata si è complimentato con il corteo ma ha subito aggiunto che la base si farà lo stesso.
Spiega come i mezzi di informazione si siano alleati con la politica per guidare il governo verso una fase 2 più equilibrata verso il centro, a partire dal dopo finanziaria. Per questo occorreva convincere la gente che era pericoloso andare a Vicenza. Per questo era necessario il «gioco truccato» di D’Alema al senato: il parlamento poteva fare due cose: approvare tout court la politica estera del governo, oppure, com’è successo, aprire una crisi strumentale, che alla fine avrebbe rafforzato la linea del governo. Il risultato di questa strategia è l’irregimentazione dei parlamentari cui oggi si è giunti, come da copione.
Turigliatto si chiede perché la sinistra di alternativa non abbia utilizzato la forza dei movimenti per influenzare il governo. Dopo il 17 febbraio, infatti, la sinistra ha accettato di non parlare più di Vicenza, come se la presenza di 150.000 persone fosse un episodio del tutto trascurabile. Con la sua astensione, il senatore rivendica almeno di avere interrotto questo strano gioco del silenzio, manifestando l’esistenza dei movimenti, la debolezza del governo e la crisi della politica.
Guardare ai movimenti per non soccombere è quanto dovrebbe fare Prodi. Questo Turigliatto ha detto al capo dell’esecutivo al quale ha consegnato in Parlamento le bandiere dei movimenti dopo il voto di fiducia al governo. Mettendo in guardia il premier sul fatto che in quella stessa aula ci sono un sacco di persone, anche fra gli “amici”, che lo farebbero cadere volentieri.
Guardare ai movimenti potrebbe l’unico modo per non soccombere. Ma oggi la politica è autoreferenziale, non si prende più carico dei problemi della popolazione. In otto mesi di legislatura in senato non c’è stata una sola discussione sul lavoro. Turigliatto conclude dicendo che i movimenti rappresentano oggi un elemento di tenuta sociale nel nostro Paese.
Interviene Gianni Alasia, uno dei padri di Rifondazione comunista, che se l’è presa col «gergume» dei politici, reo di sostituire alla realtà parole astratte. Bertinotti, ricorda l’oratore, aveva detto che con Rifondazione i movimenti sarebbero entrati nel governo, invece appare vero il contrario.
Oggi è prevista la realizzazione della base al Dal Molin, come anche quella del sito per l’assemblaggio delle ali dei cacciabombardieri F-35 a Cameri e la spesa prevista per queste opere è stata inserita nel bilancio delle attività produttive, non in quello della difesa. Bisogna poi citare la Tav, i PACS e via discorrendo.
Ciò che è sconcertante è che tutto sia ridotto al linciaggio di Turigliatto. Si tratta di un tentativo di demonizzare le aree del dissenso.
Il partito, continua Alasia, ha aderito ai 12 punti di Prodi. Bertinotti aveva detto che l’esperienza di governo era importante, ma non essenziale. Ferrero dice di stare con un piede nel governo e uno nel movimento, ma comunque al governo. Il Capo dello stato ha dichiarato che la piazza non è il sale della terra. Qual è allora il sale della terra?, si chiede Alasia. Il Palazzo?
I movimenti devono essere capaci di investire le istituzioni. Dopo il ’68 non si è cambiato il quadro istituzionale e questo ci ha portati dove siamo.
L’oratore propone un tredicesimo punto per il governo Prodi: l’introduzione di un meccanismo automatico di adeguamento dei salari al costo della vita, una nuova “scala mobile”, come già avviene per i parlamentari.
Cita l’Alenia che vorrebbe vendere 145 aerei agli Usa, pronti a realizzare la nuova bomba all’idrogeno e a decretare la fine della moratoria dei test nucleari. Perché non proporre, invece, una riconversione graduale delle nostre industrie dal bellico al civile?
È il turno di Olol Jackson, del movimento No Dal Molin di Vicenza, che ringrazia Turigliatto per aver ricordato con il suo gesto che Vicenza esiste ancora. Ringrazia poi la Val di Susa perché la battaglia No Tav costituisce un modello per il movimento vicentino. In entrambi i casi, la battaglia per il territorio ha saputo indossare i panni della trasversalità agli schieramenti politici, superando le appartenenze e coinvolgendo i cittadini. Jackson parla di veri e propri viaggi studio compiuti da vicentini in Val di Susa.
Secondo il rappresentante del presidio permanente, dal 16 gennaio, data del famoso “editto rumeno” di Prodi («la base si farà») c’è stata una frattura netta nel rapporto tra rappresentanti e rappresentati. Dopo la manifestazione di Vicenza, Prodi e Padoa Schioppa hanno tentato di avocare a sé la politica, contro una forma di lotta nuova.
Jackson ricorda inoltre che con la nuova legge elettorale la composizione del Parlamento è stata decisa da 15 persone.
Giorgio Cremaschi parla di una crisi politica profonda, all’interno della quale Vicenza ha la funzione di uno spartiacque. Con la manifestazione del 17 febbraio la realtà ha fatto irruzione nella politica delle chiacchiere. La politica ha reagito chiudendosi al mondo e oggi il Parlamento non è specchio del Paese, ma di se stesso. Prima si è diviso sulla adesione o non adesione alla manifestazione, poi tutti si sono messi d’accordo per non parlare di Vicenza. Il Parlamento aveva il dovere di discutere.
Perché – si chiede Cremaschi – gli Usa devono ingrandirsi proprio ora a Vicenza? Per fare che? Di questo in Parlamento non si è discusso; si è discusso solo dell’autosufficienza della maggioranza. Allo stesso modo, nel suo discorso al senato per riottenere la fiducia, Prodi non ha parlato delle pensioni. Nello stesso momento, Padoa Schioppa volava a Bruxelles, dove firmava l’accordo per tagliare le pensioni.
È questo modo di far politica che produce l’antipolitica. Con l’astensione di Turigliatto si è avuto modo di parlare di nuovo dell’Afghanistan. Oggi i temi preferiti sono la legge elettorale, le costituenti…
Bisogna affrontare la crisi della politica. I movimenti devono rafforzare la loro autonomia dalla politica. I cittadini devono poter intervenire, anche – ad esempio – sui costi della politica, che ogni anno comporta due miliardi di euro di stipendi. Non è accettabile che chi ha privilegi enormi non ascolti nessuno.
Il rappresentante del movimento No Tav (di cui colpevolmente mi sono perso il nome) assicura che il comitato è impegnato a decidere le nuove forme di lotta in vista delle prossime decisioni e scadenze.
È stato molto colpito dalla comunità vicentina, disposta a portare avanti la propria lotta anche con i propri corpi. Promette che quando si tratterà di mettersi davanti alle ruspe, i militanti della Val di Susa si uniranno a quelli di Vicenza in base a un “patto di mutuo soccorso”.
A chi dice che i movimenti sono apolitici, il comitato No Tav risponde che in realtà sono la parte più alta del fare politica, soprattutto nell’attuale momento di crisi. Oggi non è opportuno delegare ad altri, bisogna invece rimboccarsi le maniche.
Marco Revelli parla esplicitamente della fine della democrazia rappresentativa. È in atto una trasformazione in senso oligarchico del sistema politico. L’editto rumeno di Prodi è stato il segnale di una svolta. Vicenza era una porta sbattuta in faccia a chi voleva un modo diverso di fare politica. Classe politica e media si sono alleati contro il movimento di Vicenza. La manifestazione pacifica ha sconfitto la paura, ma nel frattempo, nel giro di appena ventiquattro ore, le dichiarazioni di Prodi, Padoa Schioppa e D’Alema hanno nuovamente risucchiato tutto verso l’alto.
Le ragioni di questo fenomeno vanno cercate, secondo Revelli, nelle riforme elettorali applicate dal ’92 a oggi, nella crisi della società di mezzo, delle forme di aggregazione, nella trasformazione del sistema mediatico. Oggi i media costruiscono la realtà, in combutta con la classe politica. La rappresentatività è diventata rappresentazione. Certe trasformazioni rischiano di essere irreversibili. Si tratta di evitare che, all’interno di questo sistema, la società marcisca. È il caso dei tanti odi orizzontali che permeano la società.
In quest’ottica, i movimenti articolati sul territorio significano una popolazione che cresce, acquisisce fiducia. È questo l’antidoto alla marcescenza della società. Chi li sacrifica «nel nome di un governicchio» si assume una responsabilità terribile. I movimenti, infatti, rappresentano una possibilità per uscire dalla crisi politica.
Revelli conclude dicendo che la sinistra deve prendere atto del fatto che la sua linea è in crisi, oppure sarà travolta dalla destra. Solo chi si è radicato nel territorio sopravviverà.
Marco Congiu, rappresentante sindacale dell’Iveco, cita il sollievo vissuto da alcuni operai quando qualcuno, Turigliatto, ha cominciato a puntare i piedi. Naturalmente c’era la preoccupazione di un possibile ritorno di Berlusconi, ma questa non può essere la scusa per farle passare tutte a Prodi.
Le speranze dei lavoratori, dice Congiu, sono andate deluse. Il cuneo fiscale è andato tutto alle imprese. La precarietà mette sotto ricatto gli operai, che non possono nemmeno manifestare. Ci sono le clientele. Forse, è la conclusione, il partito non ha capito il malessere dei lavoratori. Il «partito di lotta e di governo» ha perso la sua scommessa. Non è più per la pace senza se e senza ma, ma «per il governo senza se e senza ma». È una cosa che uccide.
«E adesso è un po’ un casino. E adesso che facciamo?», si chiede Congiu. Bisogna rilanciare il conflitto a Vicenza, in Val di Susa, ma anche in campo sindacale (pensioni, contratto, Stato sociale). È necessaria una mobilitazione per scardinare le porte chiuse della democrazia.
cremaschi sara’ contento di essere diventato giornalista invece che segretario naz. della fiom
Oooops, speriamo di sì! Ho subito corretto l’erroraccio, ma lascio il tuo commento a mo’ di marchio indelebile d’infamia per questo blog e il suo curatore…