Che la Conferenza dei vescovi italiani si sia decisa a scaricare Berlusconi è, ovviamente, una buona notizia. La notizia sarebbe anche migliore (e forse ci permetterebbe di sperare un pochino nel futuro di questo Paese, nel quale la Chiesa in fondo qualcosa ancora conta) se si fosse decisa a scaricarlo per i motivi “giusti”. Ma no: secondo il portavoce della Cei, monsignor Bagnasco, ciò che «mortifica soprattutto» è il dover registrare «comportamenti non solo contrari al pubblico decoro [sic], ma intrinsecamente tristi e vacui». «I comportamenti licenziosi e le relazioni improprie», infatti, «sono in se stessi negativi [sic] e producono un danno sociale [sigh!]».
E io perché m’incavolo? Perché la critica della Chiesa (perfettamente corretta, si badi, dal punto di vista dell’ortodossia cattolica) si riduce alla considerazione che il cavaliere è un porco «peccatore», che in fondo è quanto lui stesso sostiene, sia pure con altre parole e non pubblicamente, come risulta dalle intercettazioni («A me possono dire che scopo… è l’unica cosa che possono dire di me… è chiaro?»). Insomma, la critica rivolta a Berlusconi dai vescovi italiani ha un peso politico enorme, ma si riduce a poca cosa per chi come me ancora spera in una politica più umana, perché riguarda unicamente la morale sessuale (che è quanto di più relativo ci sia) e la sfera del privato.
Gli scandali sessuali del premier, si badi, non sono solamente “fatti suoi” e contengono elementi politici di rilievo, inerenti la commistione (e la confusione) tra vita privata e pubblica, tra conoscenti e procacciatori di ragazze, corruzione, favori economici, posti in lista elettorale in cambio di effusioni, tempo sottratto – a quanto si dice – ai doveri istituzionali (lo stesso capo del governo si è autodefinito, scherzosamente, un «premier a tempo perso»). Ma da chi dice di voler mettere il vangelo davanti a tutto, mi sarei aspettato qualcosa di più. Se volessimo andare oltre le cronache da basso impero del nostro sultanato, infatti, sarebbe stato certo auspicabile per l’Italia (e per il mondo) se la Chiesa universale (questo il significato di «cattolica») avesse denunciato nella persona del premier una serie di “peccati” completamente diversi: quelli legati a una politica economica che ha quasi distrutto lo stato sociale, cancellato le conquiste dei lavoratori, e che difende i ricchi a spese di chi ricco non è, allargando a dismisura la forbice tra i milionari e quelli che faticano ad arrivare a fine mese.
Sarebbe stato meglio se la Chiesa avesse scaricato Berlusconi non per le sue avventure di letto, ma per le guerre, quella in Afghanistan, quella in Iraq, l’ultima in Libia, combattute in complicità con l’«amico» Bush e poi con l’«abbronzato» Obama, ma anche quelle, tutte italiane, che hanno portato al rafforzamento delle basi militari da cui partono i bombardieri americani, contro il volere della popolazione e contro l’articolo 11 della Costituzione italiana. Sarebbe stato meglio se la Chiesa avesse denunciato con forza la vergogna senza fine dei Cie, i campi di concentramento dell’Italia democratica, nei quali si commettono abusi, come documentato dalle associazioni umanitarie, e si priva della libertà chi ha l’unico torto di non avere i documenti in regola.
Mi vengono in mente decine di passi nei quali Gesù predica l’amore per il povero e afferma il valore della povertà, dell’accoglienza dello straniero e della condivisione dei beni. Tutti principi che, pur nei confini laici del discorso politico, dovrebbero essere cari a chi è credente e aiuterebbero senz’altro a raddrizzare la rotta di una «nave senza nocchiero in gran tempesta», imbarcazione che ha deciso di scampare ai flutti delle avversità economiche non gettando l’acqua fuori bordo, come sarebbe logico, ma imbarcandone ancora. A questo, nella pratica, si riducono le riforme invocate dai liberisti per superare una crisi che il liberismo ha provocato. Più sacrifici per quelli che già ne stanno facendo, nella speranza che il dio pagano Mercato (nel vangelo «mammona») plachi la sua ira davanti al sangue versato sugli altari.
Così l’attacco della Cei a Berlusconi (mai nominato direttamente) è un segnale positivo della perdita di terreno politico sotto i piedi del premier, ma è anche l’ennesimo intervento della Chiesa nella vita pubblica per riaffermare una morale comportamentale con la quale ci si può trovare o meno d’accordo, ma che non può essere in alcun caso imposta a chi ha la ventura/sventura di trovarsi a vivere in un certo tempo e in un certo luogo. In altre parole, se oggi Berlusconi produce un «danno sociale», ciò non è perché «scopa», ma per le politiche, in primo luogo economiche, del suo governo, dalle quali né la Cei né la Chiesa hanno preso le distanze con la necessaria chiarezza. E ciò è grave perché, se è presumibile che il prossimo governo si terrà lontano dagli scandali sessuali, è altrettanto sicuro che la sua linea economica ricalcherà quella dell’attuale esecutivo, nel segno di un liberismo che è additato da (quasi) tutti come l’unico pensiero possibile, mentre in realtà è l’artefice della crisi e soprattutto un rimedio in grado di ammazzare il paziente, come l’agonia della Grecia dovrebbe aver dimostrato.
«Triste e vacuo» il nostro premier lo è di sicuro. Non mi sembra che le proposte di chi gli si oppone siano oggi più allegre o variopinte.