Chissenefrega del bavaglio!

«Ma quale bavaglio, cittadino! Siamo in democrazia: nessuno può impedirti di dire ciò che vuoi! Al limite ti impediamo di dirlo gratis… Ma ci dovrai appena 12mila 500 euro, quando la legge sarà passata, se tarderai un solo istante, oltre le quarantottore che ti sono concesse, per pubblicare qualsiasi rettifica ti sia notificata. Notificata come e dove preferiamo non precisarlo troppo, così magari ti sbagli e contribuisci, con il tuo piccolo obolo, al contenimento del deficit del Paese, aiutandoci ad azzerare il debito entro il 2013, la bella età dell’oro in cui, oltre al debito italiano, scompariranno tumori, guerre e aids, e Sergio Marchionne inizierà la produzione dei suoi Suv (iperecologici) a Mirafiori».

Io però sono furbo e ho già in mente la contromossa: immaginate che un politico importante (del quale non posso dirvi il nome) sia coinvolto in un grosso scandalo (preferisco non specificare quale). Di fronte alle accuse di qualcuno (anche qui: che importanza ha dire chi, a rischio di essere fraintesi?) la persona in questione («persona» è termine accettabile: difficilmente potrebbe trattarsi di un canguro o di un armadio!) ha rilasciato una dichiarazione che mi irrita e indigna profondamente. Ciò che mi fa più male è la premessa su cui poggia tutta l’argomentazione, nonché il tono utilizzato (e soprattutto la diciassettesima parola di un ideale virgolettato che non riporto per cautela).

Ecco: sfido chiunque a impormi la rettifica di una notizia di questo tipo. Certo, alla fine non si capisce nulla, ma la libertà di espressione è salva, il blog resta online e l’Italia si conferma un Paese democratico!

PS: Io le rettifiche le pubblico, ci mancherebbe. Negli anni, comunque, non ho ricevuto nessuna richiesta. Sarebbe singolare se incominciassero a fioccare proprio all’indomani dell’eventuale approvazione della cosiddetta “legge bavaglio”.

>>> Sul comma “ammazza blog” contenuto nel disegno di legge sulle intercettazioni, leggi il Post a Rete unificata promosso da Valigia Blu.

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La Padania esiste e ho le prove [di Alessandro Robecchi]

Ripubblico, con il consenso dell’autore, un articolo di Alessandro Robecchi, uscito sul manifesto del 2 ottobre 2011.

Voi siete qui – La Padania esiste e ho le prove

Titolo su La Padania: «Io esisto e sono padano». Ecco, se uno comincia a ripetersi, «Io esisto, io esisto, io esisto…», è il momento di chiamare lo psichiatra. Ma dire che il popolo padano non esiste è un’esagerazione. Esiste Maga Magò? Certo che sì. E lo yeti? Forse. Ecco qui di seguito alcune prove inconfutabili di esistenza in vita della Padania, del suo popolo e dei suoi illuminati dirigenti.

Le ronde. Le famose ronde non esistono. Pigrizia padana. Eppure in Italia (che esiste) si è parlato di ronde tutti i giorni su tutte le prime pagine, per mesi e mesi, anche con densi e dotti interventi di pensatori (?) della sinistra (?) che dicevano «perché no…».

Malpensa. L’aeroporto di Malpensa esiste. È un lungo campo di bocce vicino a Varese che paga alcuni milioni di euro ai suoi incapaci dirigenti padani. Per essere una cosa che non esiste, la Padania ci costa parecchio.

Il pacchetto sicurezza. Affossato dalla Corte Costituzionale, il grottesco insieme di leggine e regolamenti e ordinanze per sindaci mitomani non esiste più. Eppure, con gran strepito del padano Maroni, l’Italia intera ne parlò per mesi e mesi come se fosse una cosa reale.
Il porcellum. Pur avendo le ore contate, la legge elettorale più schifosa del mondo l’ha scritta Calderoli. Per essere una cosa che non esiste, la Padania produce cazzate notevoli.
Il reato di clandestinità. Esiste, riempie le galere di innocenti ed è il più clamoroso esempio di esistenza della barbarie padana.

Sono solo alcuni casi, ma forse bastano per dire che il popolo padano, i suoi politici, i suoi ministri, esistono. Purtroppo. Per fortuna, invece, si stanno estinguendo da soli e speriamo facciano in fretta. Solo, una volta estinti i padani, dovremmo affrettarci a cancellare anche i segni che hanno lasciato tra noi. Andiamo, chi vivrebbe in un posto dove i dinosauri sono spariti ma restano a terra enormi, gigantesche, cacche di dinosauro?

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12 novembre – manifestazione nazionale No F-35 a Novara

Update: la data della manifestazione è stata spostata dal 5 al 12 novembre!

Il comunicato: Il movimento NO F-35 è costretto dalle circostanze avverse a spostare la data della manifestazione nazionale dal 5 novembre al 12 novembre.

La ragione sta nel fatto che le autorità di pubblica sicurezza ci hanno fatto sapere di non poter sostenere la contemporanea presenza in città di manifestanti pacifisti/antimilitaristi e di tifosi della Roma in arrivo per la partita di calcio.

Preso atto delle difficoltà di gestione della sicurezza pubblica e volendo evitare polemiche-trappola, il movimento decide di comportarsi da soggetto “responsabile” e dà appuntamento a tutte/i per le ore 14 di sabato 12 novembre.

Vi aspettiamo da tutta Italia (e anche da fuori, perché no?) per dare vita a una manifestazione grande, pacifica e fortemente determinata.

* * *

[il vecchio post, corretto] Esco dal delirio autoreferenziale degli ultimi giorni ripubblicando l’appello per la manifestazione nazionale No F-35 del prossimo 5 novembre 12 novembre a Novara. È chiaro che nella presente situazione di crisi economica un aspetto importante della mobilitazione contro i cacciabombardieri che dovrebbero essere assemblati a Novara è il loro costo, un prezzo del tutto inaccettabile se si considerano i tagli contemporanei al welfare e alle politiche sociali (si veda anche, in proposito, l’appello di Alex Zanotelli).

Le fabbriche di morte, tuttavia, sono in primo luogo tali e non bisogna dimenticare il ruolo dell’Italia nella spesa militare internazionale, come anche nell’appoggio alle cosiddette «guerre umanitarie», fatte in realtà per il controllo geopolitico delle aree strategiche del mondo e delle risorse energetiche senza curarsi del diritto come delle inevitabili vittime civili.

Per queste ragioni occorre rilanciare la mobilitazione pacifista e per una gestione diversa della spesa pubblica. Tutte e tutti a Novara il prossimo 12 novembre!

L’appello:

L’acquisto e l’assemblaggio di cacciabombardieri F-35 nello stabilimento che Lockheed Martin e Alenia stanno facendo costruire all’interno dell’aeroporto militare di Cameri, a pochi chilometri da Novara, costituiscono l’ennesimo spreco di soldi pubblici.

La ditta vicentina Maltauro, che ha vinto l’appalto per la costruzione dei capannoni dall’inizio del 2011, ha cominciato i lavori.

Mentre si tagliano spese sociali, sanità, pensioni, scuola, ecc. si spendono venti miliardi di euro per produrre strumenti di morte e distruzione (131 sono i cacciabombardieri che saranno acquistati dall’Italia).

Scarse saranno le ricadute occupazionali sul territorio; al contrario queste risorse saranno  sottratte ad altre attività socialmente utili che creerebbero posti di lavoro e benefici sociali (energie pulite e rinnovabili, servizi sociali, istruzione, ricerca, cultura, difesa del territorio, ecc).

Inderogabili ragioni morali contrarie alla guerra e a tutte le fabbriche di armi, unite alla pesante crisi economica, che viene fatta pagare ai cittadini (soprattutto ai ceti sociali più deboli) e tocca le tasche e la vita di tutti ci costringono a prendere una posizione chiara e decisa.

Per questo continuiamo un percorso di decisa critica pubblica al progetto e proponiamo una Manifestazione di carattere nazionale da tenersi a Novara nella giornata di sabato 12 novembre 2011.

Chiediamo l’apporto plurale di diverse realtà che concordino nel contrastare la costruzione e l’acquisto dei cacciabombardieri F-35 (e il relativo spreco di almeno venti miliardi dei nostri soldi) e rivolgiamo un appello a tutte/i ad aderire e partecipare.

CONCENTRAMENTO ORE 14 PIAZZA GARIBALDI (stazione FFS)

MOVIMENTO NO F-35 NOVARA

Per adesioni: info[at]noeffe35.org > http://www.noeffe35.org.

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Legge bavaglio e blog

Il contenuto e le conseguenze del comma “ammazza blog”, previsto nel disegno di legge sulle intercettazioni, sono spiegati nel dettaglio nel post a Rete unificata che ho ripreso da Valigia Blu. Aggiungo alcune riflessioni mie.

Per chi si collegasse solo ora, comunque, preciso che con il comma in questione si intende introdurre l’obbligo di pubblicare, entro due giorni, tutte le richieste di rettifica che si ricevono (indipendentemente dalla loro fondatezza o dalla correttezza di quanto pubblicato), pena un’ammenda di 12.500 euro, importo che, scusate l’autocitazione, mi rovinerebbe alla prima infrazione.

Io posso controllare tutti i giorni i miei indirizzi di posta elettronica per sapere se ho ricevuto una richiesta di rettifica o no, ma mi capita anche di essere stanco, di ammalarmi, di andare in vacanza e stare qualche giorno senza internet; gestisco il blog da solo e non sono sicuro di potermi accorgere in tempo di ogni richiesta. Di più, dal momento che il materiale di un blog rimane online tendenzialmente all’infinito, mi inquieta molto l’idea di poter essere colpito da richieste di rettifica per cose scritte e pubblicate anni fa. L’obbligo di pubblicazione della rettifica, insomma (secondo me illegittimo: un blogger si limita a esprimere il proprio pensiero, una cosa che dovrebbe far parte, se ben ricordo, dei diritti fondamentali del cittadino), rischia di trasformarsi in una trappola con cui far fuori chi “rompe i coglioni”.

Anzi, a ben vedere la norma non minaccia neppure i “grandi rompicoglioni”, quelli che hanno al loro servizio vari collaboratori e sono online 24 ore al giorno. L’ammazza blog si limita a scoraggiare quella partecipazione diffusa che internet ha fin qui favorito. I potenti non sono tanto spaventati dall’idea che ci sia un Beppe Grillo che dalla Rete lancia i suoi strali contro di loro, neppure se Beppe Grillo è una macchina da guerra che ai suoi post può sommare i libri, i dvd, gli spettacoli e anche le liste civiche del Movimento 5 Stelle, ormai presenti in tutto il Paese.

Ai potenti il nemico singolo non interessa. Quello che proprio non accettano è il concetto di cittadinanza attiva, la possibilità di informazione “altra” rispetto a quella del regime, il fatto di poter raggiungere tanta gente e far circolare le proprie idee senza essere per forza “qualcuno”, politico, comico o giornalista famoso non importa. Si cerca di bloccare un’opportunità di demorazia e partecipazione, di soddisfare l’esigenza consueta di avere un popolo bue per poterlo governare a piacimento.

Ho più possibilità io di essere rovinato attraverso una rettifica non pubblicata in tempo (e non ho mai avuto nessun problema a pubblicarne una!) di quante non ne abbia un qualsiasi grosso nome della Rete. E questo anche se saranno loro a ricevere il maggior numero di richieste. Del resto, benché abbia più volte scritto lettere di fuoco a Berlusconi e altri signori, non è da loro che mi aspetto di essere “attaccato”. Internet consente di agire allo stesso tempo localmente e globalmente e io mi aspetto di dover avere a che fare con qualche signorotto di zona, qualche sindaco la cui “grande opera” o il cui provvedimento ho contestato, il piccolo imprenditore che ho accusato di aver voluto perseguire il proprio interesse contro quello comune.

Perché ci sarà sempre la possibilità di voler rettificare anche solo un’imprecisione, un termine che proprio non è andato giù, o magari il semplice desiderio di colpire un avversario attraverso un’arma “impropria”, ma legale.

L’altro giorno, una mia “amica di Facebook” diceva di aver provato l’impulso, sentendo la Santanchè in televisione, di gettare il pc dalla finestra, ma di non averlo fatto perché non se lo poteva permettere. Credo che la differenza tra le persone normali e i rappresentanti delle varie “caste” sia essenzialmente questa: noi non ci possiamo mai permettere niente, neppure di pagare 12.500 euro perché non ci siamo accorti di una richiesta di rettifica. Loro hanno stuoli di segretarie, passacarte, maggiordomi, non devono perdere tempo a lavare i piatti o pulire la casa, hanno a disposizione tutto il tempo e tutti i mezzi del mondo. Possono permettersi, se vogliono, anche di scagliare il proprio pc dalla finestra. Ma, a quanto pare, preferiscono spegnere il nostro.

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No legge bavaglio – il comma ammazza blog – post a Rete unificata

Aderisco all’iniziativa promossa da Valigia Blu contro il comma ammazza blog, un post «a Rete unificata». Che cosa sia il comma e perché farebbe finire la libertà di esprimersi liberamente in internet è scritto qui sotto.

Siamo messi proprio male.

Il post:

Cosa prevede il comma 29 del ddl di riforma delle intercettazioni, sinteticamente definito comma ammazzablog?
Il comma 29 estende l’istituto della rettifica, previsto dalla legge sulla stampa, a tutti i “siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica”, e quindi potenzialmente a tutta la rete, fermo restando la necessità di chiarire meglio cosa si deve intendere per “sito” in sede di attuazione.

Cosa è la rettifica?
La rettifica è un istituto previsto per i giornali e le televisione, introdotto al fine di difendere i cittadini dallo strapotere di questi media e bilanciare le posizioni in gioco, in quanto nell’ipotesi di pubblicazione di immagini o di notizie in qualche modo ritenute dai cittadini lesive della loro dignità o contrarie a verità, questi potrebbero avere non poche difficoltà nell’ottenere la “correzione” di quelle notizie. La rettifica, quindi, obbliga i responsabili dei giornali a pubblicare gratuitamente le correzioni dei soggetti che si ritengono lesi.

Quali sono i termini per la pubblicazione della rettifica, e quali le conseguenze in caso di non pubblicazione?
La norma prevede che la rettifica vada pubblicata entro due giorni dalla richiesta (non dalla ricezione), e la richiesta può essere inviata con qualsiasi mezzo, anche una semplice mail. La pubblicazione deve avvenire con “le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”, ma ad essa non possono essere aggiunti commenti. Nel caso di mancata pubblicazione nei termini scatta una sanzione fino a 12.500 euro. Il gestore del sito non può giustificare la mancata pubblicazione sostenendo di essere stato in vacanza o lontano dal blog per più di due giorni, non sono infatti previste esimenti per la mancata pubblicazione, al massimo si potrà impugnare la multa dinanzi ad un giudice dovendo però dimostrare la sussistenza di una situazione sopravvenuta non imputabile al gestore del sito.

Se io scrivo sul mio blog “Tizio è un ladro”, sono soggetto a rettifica anche se ho documentato il fatto, ad esempio con una sentenza di condanna per furto?
La rettifica prevista per i siti informatici è quella della legge sulla stampa, per la quale sono soggetti a rettifica tutte le informazioni, atti, pensieri ed affermazioni ritenute dai soggetti citati nella notizia “lesivi della loro dignità o contrari a verità”. Ciò vuol dire che il giudizio sulla assoggettabilità delle informazioni alla rettifica è esclusivamente demandato alla persona citata nella notizia, è quindi un criterio puramente soggettivo, ed è del tutto indifferente alla veridicità o meno della notizia pubblicata.

Posso chiedere la rettifica per notizie pubblicate da un sito che ritengo palesemente false?
È possibile chiedere la rettifica solo per le notizie riguardanti la propria persona, non per fatti riguardanti altri.

Chi è il soggetto obbligato a pubblicare la rettifica?
La rettifica nasce in relazione alla stampa o ai telegiornali, per i quali esiste sempre un direttore responsabile. Per i siti informatici non esiste una figura canonizzata di responsabile, per cui allo stato non è dato sapere chi sarà il soggetto obbligato alla rettifica. Si può ipotizzare che l’obbligo sia a carico del gestore del blog, o più probabilmente che debba stabilirsi caso per caso.

Sono soggetti a rettifica anche i commenti?
Un commento non è tecnicamente un sito informatico, inoltre il commento è opera di un terzo rispetto all’estensore della notizia, per cui sorgerebbe anche il problema della possibilità di comunicare col commentatore. A meno di non voler assoggettare il gestore del sito ad una responsabilità oggettiva relativamente a scritti altrui, probabilmente il commento (e contenuti similari) non dovrebbe essere soggetto a rettifica.

Qui l’articolo completo.

@valigia blu – riproduzione consigliata

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Non significa nulla!

Ho scattato, cara ministra Gelmini, la foto di un neutrino (si vd fotografia). Girava con un cartello per farsi riconoscere dagli studiosi mentre a folle velocità schizzava dalla Svizzera delle banche giù giù fino al Gran Sasso, quasi come i trasferimenti di denaro sul conto di qualche maggiorente a cui della crisi economica e della distruzione dell’istruzione pubblica non frega proprio niente. E niente deve fregare di queste righe che, come da titolo, non significano nulla, non sono neanche uno sfogo, ma una semplice accozzaglia di pensieri stanchi, una ninna nanna prima di chiudere il computer e andare a letto. Ma non sarebbe bello, cara ministra, che i “suoi” professori (ahimè, insegnante sono) le rivolgessero un pensiero riconoscente prima di andarsene a dormire? Se la ricordassero nelle loro preghiere, se magari pensassero a lei, a Natale, e le inviassero un presente, una cosa da nulla, tanto è il pensiero che conta, al limite un neutrino, ammesso che si riesca ad acchiapparne uno durante la sua corsa…

Le hanno dato dell’ignorante, ma di certo non l’hanno capita e, se in questo periodo citare chi dico io non attirasse finanche gli strali di Bagnasco, oserei dire che l’hanno fraintesa. Gli occhi fissi nel radioso futuro delle italiche istruzione, università & ricerca – pazienza per il presente di miseria, resta la nobiltà dei proclamati intenti – lei già vedeva materializzato il tunnel sotterraneo che unirà Svizzera e Abruzzo (servendo da abitazione per gli sfollati dell’Aquila). Basta che “quelli del no” non si oppongano ancora una volta, ideologicamente e pregiudizialmente, guidati dall’egoismo (e molti di loro anche in cattiva fede), alla realizzazione di un’opera grandiosa, verso la quale potremmo dirottare utilmente i fondi del suo ministero (magari fatta eccezione per lo stipendio di chi scrive) e quelli destinati allo “sviluppo”. Sarà sempre meglio di quelli che vogliono fare la metropolitana ad Aosta (35mila abitanti) o di quegli altri che si ripromettono di stuzzicare le dormienti Scilla e Cariddi (la poesia linkata è mia) per lanciare un ponte sopra lo Stretto di Messina.

Ma basta per stasera: vado a vedere se nel frigo mi avanza un neutrino…

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Triste e vacuo

Che la Conferenza dei vescovi italiani si sia decisa a scaricare Berlusconi è, ovviamente, una buona notizia. La notizia sarebbe anche migliore (e forse ci permetterebbe di sperare un pochino nel futuro di questo Paese, nel quale la Chiesa in fondo qualcosa ancora conta) se si fosse decisa a scaricarlo per i motivi “giusti”. Ma no: secondo il portavoce della Cei, monsignor Bagnasco, ciò che «mortifica soprattutto» è il dover registrare «comportamenti non solo contrari al pubblico decoro [sic], ma intrinsecamente tristi e vacui». «I comportamenti licenziosi e le relazioni improprie», infatti, «sono in se stessi negativi [sic] e producono un danno sociale [sigh!.

E io perché m’incavolo? Perché la critica della Chiesa (perfettamente corretta, si badi, dal punto di vista dell’ortodossia cattolica) si riduce alla considerazione che il cavaliere è un porco «peccatore», che in fondo è quanto lui stesso sostiene, sia pure con altre parole e non pubblicamente, come risulta dalle intercettazioni («A me possono dire che scopo… è l’unica cosa che possono dire di me… è chiaro?»). Insomma, la critica rivolta a Berlusconi dai vescovi italiani ha un peso politico enorme, ma si riduce a poca cosa per chi come me ancora spera in una politica più umana, perché riguarda unicamente la morale sessuale (che è quanto di più relativo ci sia) e la sfera del privato.

Gli scandali sessuali del premier, si badi, non sono solamente “fatti suoi” e contengono elementi politici di rilievo, inerenti la commistione (e la confusione) tra vita privata e pubblica, tra conoscenti e procacciatori di ragazze, corruzione, favori economici, posti in lista elettorale in cambio di effusioni, tempo sottratto – a quanto si dice – ai doveri istituzionali (lo stesso capo del governo si è autodefinito, scherzosamente, un «premier a tempo perso»). Ma da chi dice di voler mettere il vangelo davanti a tutto, mi sarei aspettato qualcosa di più. Se volessimo andare oltre le cronache da basso impero del nostro sultanato, infatti, sarebbe stato certo auspicabile per l’Italia (e per il mondo) se la Chiesa universale (questo il significato di «cattolica») avesse denunciato nella persona del premier una serie di “peccati” completamente diversi: quelli legati a una politica economica che ha quasi distrutto lo stato sociale, cancellato le conquiste dei lavoratori, e che difende i ricchi a spese di chi ricco non è, allargando a dismisura la forbice tra i milionari e quelli che faticano ad arrivare a fine mese.

Sarebbe stato meglio se la Chiesa avesse scaricato Berlusconi non per le sue avventure di letto, ma per le guerre, quella in Afghanistan, quella in Iraq, l’ultima in Libia, combattute in complicità con l’«amico» Bush e poi con l’«abbronzato» Obama, ma anche quelle, tutte italiane, che hanno portato al rafforzamento delle basi militari da cui partono i bombardieri americani, contro il volere della popolazione e contro l’articolo 11 della Costituzione italiana. Sarebbe stato meglio se la Chiesa avesse denunciato con forza la vergogna senza fine dei Cie, i campi di concentramento dell’Italia democratica, nei quali si commettono abusi, come documentato dalle associazioni umanitarie, e si priva della libertà chi ha l’unico torto di non avere i documenti in regola.

Mi vengono in mente decine di passi nei quali Gesù predica l’amore per il povero e afferma il valore della povertà, dell’accoglienza dello straniero e della condivisione dei beni. Tutti principi che, pur nei confini laici del discorso politico, dovrebbero essere cari a chi è credente e aiuterebbero senz’altro a raddrizzare la rotta di una «nave senza nocchiero in gran tempesta», imbarcazione che ha deciso di scampare ai flutti delle avversità economiche non gettando l’acqua fuori bordo, come sarebbe logico, ma imbarcandone ancora. A questo, nella pratica, si riducono le riforme invocate dai liberisti per superare una crisi che il liberismo ha provocato. Più sacrifici per quelli che già ne stanno facendo, nella speranza che il dio pagano Mercato (nel vangelo «mammona») plachi la sua ira davanti al sangue versato sugli altari.

Così l’attacco della Cei a Berlusconi (mai nominato direttamente) è un segnale positivo della perdita di terreno politico sotto i piedi del premier, ma è anche l’ennesimo intervento della Chiesa nella vita pubblica per riaffermare una morale comportamentale con la quale ci si può trovare o meno d’accordo, ma che non può essere in alcun caso imposta a chi ha la ventura/sventura di trovarsi a vivere in un certo tempo e in un certo luogo. In altre parole, se oggi Berlusconi produce un «danno sociale», ciò non è perché «scopa», ma per le politiche, in primo luogo economiche, del suo governo, dalle quali né la Cei né la Chiesa hanno preso le distanze con la necessaria chiarezza. E ciò è grave perché, se è presumibile che il prossimo governo si terrà lontano dagli scandali sessuali, è altrettanto sicuro che la sua linea economica ricalcherà quella dell’attuale esecutivo, nel segno di un liberismo che è additato da (quasi) tutti come l’unico pensiero possibile, mentre in realtà è l’artefice della crisi e soprattutto un rimedio in grado di ammazzare il paziente, come l’agonia della Grecia dovrebbe aver dimostrato.

«Triste e vacuo» il nostro premier lo è di sicuro. Non mi sembra che le proposte di chi gli si oppone siano oggi più allegre o variopinte.

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