Sembra sia Risiko il modello, l’occupazione militare di questo e quel Paese da cui poter controllare gli affari e gli intrallazzi, il flusso del petrolio (a proposito: importa a qualcuno del riscaldamento del pianeta?), le vite di cittadini e consumatori.
Primo giorno a Roma (mi tratterrò fino a martedì mattina), nonostante la psicosi attentato.
Magari evitiamo il centro e lasciamo stare la metropolitana.
Appuntamento in centro, domattina, e la metro l’abbiamo già presa due volte. Del resto, come si fa a non usarla?
Ma la città è guardata a vista: le chiese, le stazioni pullulano di agenti di polizia, soldati in mimetica col mitra, e devo dire che fanno una certa impressione i soldati col mitra.
Siamo in guerra, dunque, benché l’impressione sia che la vita vada avanti come sempre, benché la vita vada avanti come sempre, a ben pensarci. Però gli spazi civili sono sempre più spesso trasformati in spazi militari.
Ma questo è normale,
perché questi sono soldati buoni, sono qui per proteggerci.
Dai cattivi, dall’Isis, dagli attentati. Ma chi ci protegge da noi stessi? E chi difende i nostri bimbi dalla vista delle armi? Chi ci protegge dai caccia che rombano sulla nostra testa, che invadono gli schermi all’ora di pranzo?
Com’è possibile che i blindati sfilino per le strade cittadine con il soldato armato di mitra in torretta?
Com’è possibile che una scuola media trovi normale portare classi alla celebrazione del 4 novembre?
Com’è possibile che si prenda in seria considerazione l’idea di una visita didattica a bordo di una nave militare ancorata nel porto più vicino?
Chi ci protegge dai nostri governi, quelli che non hanno soldi per il welfare, ma li trovano subito per le «missioni militari»?
Da sedicenti democrazie impegnate a bombardare la Siria, un Paese abitato in prevalenza da civili, da innocenti, creando incommensurabilmente più morti degli attentati di Parigi, e senza neppure curarsi di tagliare ai terroristi le vie di rifornimento? Senza appurare chi tra gli «alleati» faccia affari con l’Isis?
Rivoltiamo il mondo come un guanto dai tempi delle scoperte geografiche (fine XV, inizio XVI secolo), con brusche accelerazioni dovute ai progressi tecnologici e a regimi particolari, e un’impennata del senso di impunità dell’occidente a partire dalla fine della guerra fredda (e, ad esempio, dalla prima guerra del Golfo).
Siamo alleati e amici di dittatori (finché non cadono in disgrazia) e criminali di guerra.
Di fronte al dramma senza fine della Palestina, stiamo con Israele, criminale di guerra.
Di fronte alle uccisioni e alle violazioni dei diritti umani nel Kurdistan turco, stiamo con la Turchia, che quei diritti calpesta e compra il petrolio di contrabbando dal sedicente stato islamico.
Siamo con il governo fascista di Kiev contro la popolazione di lingua russa dell’Ucraina perché bisogna rintuzzare le pretese russe di essere una potenza nello scacchiere internazionale.
Respingiamo i disperati che hanno fame o fuggono da guerre che noi stessi abbiamo generato.
Chi ci protegge da queste nostre politiche? L’odio antioccidentale cresce a ogni bomba «intelligente» che centra il suo bersaglio facendo esplodere con sé una manciata di «vittime collaterali».
Ma noi tiriamo avanti, con i diritti in bocca e la mano sopra il portafoglio.
Fino alla completa invasione del Kamchatka. (1)
>> (1) Veniva sempre questo compito da portare a termine, quando si gicava a Risiko.