Gli osservatori più attenti avranno notato che, negli ultimi giorni, il blog è stato meno attivo (preambolo classico che uso quando, per le più varie ragioni, non ho molto tempo per scrivere e pubblicare). In questi giorni, mi trovo a Cogne, dove, fra l’altro, sto preparando la settima edizione della Marcia Granparadisoestate (preparando è una parola grossa, visto che per problemi tecnici abbiamo dovuto ritardare la stampa delle locandine). La foto che correda l’articolo l’ho scattata stamattina: è una salita appena fuori paese, già immersa fra gli alberi, il silenzio e i rumori del bosco. Mentre la percorro, passo dopo passo, leggo sul manifesto della condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa di Marcello Dell’Utri, co-fondatore, con Berlusconi, di Forza Italia. A destra, la conferma della colpevolezza di Dell’Utri (sia pure con riduzione della pena rispetto al primo grado di giudizio) viene letta come una vittoria e lo stesso imputato festeggia: i crimini ascrittigli sono appurati soltanto fino al 1992, l’anno prima della fondazione del partito con il quale Berlusconi discese in campo: non è quindi provato il legame tra Cosa nostra e il partito del Cavaliere.
In realtà, da festeggiare ci sarebbe ben poco: dell’amico di Berlusconi è stato riconosciuto il passato in combutta con la mafia e, a meno di un decreto volto a svuotare di senso il noto proverbio «Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei», pesanti sospetti permangono sulle amicizie mosse in Sicilia e altrove per fondare i primi circoli berlusconiani e permettere il trionfo elettorale del miliardario parvenu della politica.
Incredibile è comunque il livello di mistificazione cui si può giungere in un ex (ma ex da poco, insomma!) paese civile: per i rappresentanti della destra e per il Tg1, Dell’Utri è stato «assolto», malgrado l’impianto accusatorio sia stato invece confermato. Come accadde a suo tempo a Giulio Adreotti, l’essere ritenuto non colpevole da un certo anno in poi, equivale per la cattiva politica e per certi media a un’assoluzione bella e buona.
Forse, Marcello Dell’Utri, «la persona più mite e religiosa che [Berlusconi] abbia mai conosciuto», accortosi degli errori cui la frequentazione di falsi amici lo aveva un tempo indotto, ha approfittato per redimersi dell’incarico politico assegnatogli dal Cavaliere, quello di costruire un nuovo partito che fosse baluardo contro il pericolo rosso che all’inizio degli anni ’90, come ognun sa, minacciava la libertà del Belpaese.
Forse, se non fosse stato per il Cavaliere, pronto a coinvolgerlo nella sua crociata per la libertà del Paese, il «mite» Dell’Utri si sarebbe limitato a espiare in modo meno appariscente, magari nella cella di qualche convento, tra libri di preghiera e diari mussoliniani taroccati.
Forse. Ma non è andata così e oggi il buon Marcello «festeggia» la sua condanna a 7 anni di carcere (che beninteso non sconterà mai) conservando il suo scranno in Parlamento e mandando al giudice le proprie «condoglianze» (abitudine linguistica che gli deriva dalle antiche frequentazioni?).
Il blog non va in vacanza, ma nei prossimi giorni pubblicherà un po’ più di rado: per mancanza di tempo e anche perché mi spiace ridurmi a parlare dei vari Dell’Utri quando in Europa e nel mondo, complice la crisi, il capitalismo old style, quello – per intenderci – degli albori della rivoluzione industriale, che considerava i lavoratori una massa di individui senza diritti, si permette di spiare gli operai in fabbrica e fuori dalla fabbrica (la Fiat a Pomigliano), per trovare pretesti per licenziare i tesserati Fiom, oppure impone a livello internazionale misure di lacrime e sangue ai lavoratori, senza toccare i responsabili della crisi (vale a dire lo stesso capitale, finanziario o imprenditoriale che sia). I fatti della Grecia, con le manifestazioni e gli scontri di piazza e di Spagna (col metrò di Madrid chiuso da due giorni e a tempo indefinito per sciopero) impongono nuove narrazioni, per raccontare le quali – ahimè – è necessario studiare.
Altrimenti ci si ritrova indignati a commentare l’ovvio: che Berlusconi e i suoi accoliti sono uniti nella difesa di uno dei loro, nonostante un’accusa – confermata – che in un paese civile dovrebbe pesare come un macigno sulla carriera politica di chicchessia.