Vittorio è stato ammazzato due anni fa, la notte tra il 14 e il 15 aprile.
Le motivazioni del suo rapimento e della sua uccisione, per quanto ne so, non sono ancora state chiarite, nonostante il processo che si è concluso lo scorso settembre con alcune condanne. Non so se sarà mai possibile far luce su un omicidio così insensato. Di certo, la mancanza di Vittorio è palpabile. Nessuno come lui era in grado di raccontare con chiarezza ciò che succede a Gaza, nessuna altra voce oggi possiede la stessa capacità di trasportarti nel cuore dell’inferno e contemporaneamente in quello della gente palestinese, come ha fatto lui durante i bombardamenti dell’operazione Piombo Fuso.
Ricordo Vittorio l’unica volta che l’ho incontrato di persona, quando ha accettato di venire all’Espace Populaire di Aosta, il circolo Arci di cui faccio parte, per presentare il suo libro Gaza. Restiamo Umani. Ricordo la facilità di racconto e contemporaneamente la sofferenza nel rievocare gli orrori di cui era stato testimone. Ricordo la birra che abbiamo condiviso dopo la presentazione, le chiacchiere sugli “amici” in comune, le varie persone conosciute in rete leggendo e commentando gli stessi articoli (suoi), vivendo, sia pure online, le stesse battaglie. Abbiamo riso e scherzato, nonostante tutto.
Oppure ricordo, prima della serata, quando è comparso nel parcheggio dell’Espace insieme alla sua Musa (così la chiamava sempre) e lo zaino con i libri da vendere in spalla. Ricordo di avergli messo in braccio mia figlia, che non aveva ancora un anno, mia figlia che è la vera destinataria della dedica che Vik ha scritto – e quasi disegnato – sulla mia copia del libro. Mia figlia che, in un’e-mail successiva, ha battezzato affettuosamente «nanerottola», ricordandosi di chiedermi di lei. Ieri notte mi sono messo a rileggere tutte le e-mail ricevute da Vittorio, in generale in risposta alle mie richieste di collegamenti telefonici da Gaza, o in occasione dell’incontro di Aosta. Ho spulciato la posta elettronica fino ad accorgermi che ci sono stati molti più messaggi e scambi di quelli che ricordavo, e frasi che meriterebbero di essere riportate.
Vittorio aveva un cuore grande e la statura non già dell’eroe, come sicuramente avrà scritto qualcuno, ma del giusto, di chi si spende in prima persona per i suoi ideali, perché non accetta di assistere alla sofferenza del mondo senza intervenire. La statura, per quanto mi riguarda, dei Mandela, dei Martin Luther King, di chi ha messo in conto la morte come una possibilità che non può limitarci, perché – cito a memoria – «se si può vivere per il popolo palestinese, si può anche morire per il popolo palestinese».
Sono felice di aver conosciuto Vittorio, che mi ha vaccinato dalla tentazione di cedere, ogni tanto, al conforto della credulità, perché è facile pensare che in fondo ci sia un limite a tutto, che magari le cose non son brutte come le raccontano. È facile se non sei mai stato tanto coraggioso da andare a vedere coi tuoi occhi, e lui che c’è stato in qualche modo ha portato anche noi. Ho letto Il viaggo di Vittorio, il libro di sua mamma, Egidia Beretta, e non ho potuto fare a meno di piangere. Vedendo le foto di Vittorio bambino con la sorella Alessandra, leggendo aneddoti che non conoscevo, pensando a come doveva concludersi la vicenda, leggendo delle volte in cui ha rischiato di morire per mano israeliana, dell’ingiustizia, del sopruso, della politica genocida dell’«unica democrazia del Medioriente», io ho pianto, più e più volte, e sono felice di quel pianto, veicolo necessario di un’umanità che non dobbiamo perdere.
Restiamo Umani.
>>> L’illustrazione di questo articolo è di Carlos Latuff.