Che cosa doveva succedere ad Aosta, secondo il quotidiano La Stampa, in
occasione dell’apertura (sabato 20 marzo) dei primi Giochi mondiali
militari invernali?
Che cosa doveva succedere secondo la questura, che ha mobilitato circa
250 agenti delle varie forze dell’ordine per mantenere il controllo di
una piazza che più pacifica non poteva essere?
«E alla fine, nessun incidente», scrivono Daniele Genco e Stefano Sergi
nell’edizione di domenica 21 (primo giorno di primavera, auguri!), «ma
soltanto qualche timida e pacifica contestazione alla Cina e all’Iran». I
giornalisti sembrano stupiti, mentre commentano la cerimonia «che
aveva suscitato timori per l’ordine pubblico».
Timori.
Ho scritto tre articoli in cui criticavo l’ipocrisia di chi presenta
gli eserciti come portatori di pace e la faccia tosta di chi da tutti i
telegiornali tuona contro l’Iran, o contro il mancato rispetto dei
diritti umani in Cina e poi accoglie come se nulla fosse le delegazioni
militari(!) di quegli Stati, con tanto di epistola del ministro Meloni
che esalta la «meglio gioventù» in divisa.
Questi articoli mi sono valsi (ero indeciso se raccontarlo, ma non
credo ci sia niente di male) una telefonata della Digos che ha voluto
incontrarmi, convinta che fossi una specie di capo-organizzatore della
protesta. Devo ammettere che i due agenti sono stati gentili, ma ciò che
trovo strano è che le mie argomentazioni (di cui nessuno, tengo a
precisarlo, mi ha contestato la legittimità) mi siano valse il titolo di
organizzatore quando, l’ho detto altrove, per motivi personali non avrei
neppure partecipato al volantinaggio di protesta.
Nella stessa giornata in cui ho visto la Digos (come blogger e come
membro dell’Arci Valle d’Aosta), so che sono stati chiamati dalle forze
dell’ordine il mio amico Alex (Glarey, anche lui dell’Arci) e qualcuno
di Rifondazione comunista. Sembrava che non soltanto la piazza fosse off
limits per il volantinaggio, ma anche lo spazio immediatamente
antistante. Invece, durante la cerimonia, c’è stato modo di distribuire i
volantini e di mostrare cartelli e bandiere a pochi metri dalle
transenne che chiudevano piazza Chanoux.
«Il caso della bandiera tibetana che la Cina ha fatto rimuovere dalla
scuola di sci di Gressoney», scrivono i giornalisti della Stampa, «si è
riflesso sulla vetrina di piazza Chanoux, ma soltanto attraverso due
gruppetti di pacifisti ed esponenti di Arci e Associazione radicale
Loris Fortuna che hanno sventolato indisturbati vessilli del Tibet e
[…] cartelli contro il regime iraniano».
«Due gruppetti», ma, già: in fondo stiamo parlando di «timide contestazioni»! Perché
dove non c’è il clamore degli scontri («nessuna scaramuccia», si legge nell’articolo)
le contestazioni non sono «civili» o «educate»: sono «timide»; il che –
sbaglierò – sembra implicare un giudizio di merito, come a sottolineare
l’anomalia costituita dai quattro gatti che non rinunciano mai a protestare, qualunque cosa accada. E invece la protesta non è stata
«timida», ma non aveva alcun motivo di dare luogo a incidenti.
Trovo singolare che nella stessa piazza ai militari sia assegnato il
ruolo dei portatori di pace e ai pacifisti quello di possibili violenti.
Forse a causa dei succitati timori, forse per altri motivi, in questi
giorni i media valdostani (che bacchetto molto amichevolmente) hanno
fatto di tutto per «sopire, troncare» le polemiche. Tutto il bene
possibile è stato detto di questo che per la Regione costituisce un
"banco di prova" («La Valle ha i titoli per avere la Coppa del Mondo»,
ha dichiarato sempre alla Stampa Giovanni Morzenti, presidente della
Federazione italiana sport invernali).
Un comunicato dell’Arci, che
parlava di «Stati canaglia» invitati ai Giochi, non ha ricevuto lo spazio
consueto; una mia lettera aperta (per quello che conta, ma in altri
casi altre mie lettere sono state pubblicate) è comparsa unicamente sul quotidiano online Aosta Sera; una lettera alla Stampa nella quale il consigliere
comunale di Aosta Paolo Fedi spiegava i motivi per cui non avrebbe
partecipato all’inaugurazione (la trovate in calce a questo articolo) a
oggi non è stata pubblicata. Più in generale, mi sembra che fra tutte le
lettere comparse sulla Stampa Valle d’Aosta il giorno della cerimonia, quello precedente e quello successivo non ce ne sia una che abbia per
argomento i Giochi militari.
Timore di scaldare gli animi?
Concludo con una mia nuova, breve lettera alla Stampa [update: è stata pubblicata il 24 marzo] e con quella
(ancora inedita) di Paolo Fedi.
Gentile redazione,
leggo nell’articolo di Daniele Genco e Stefano Sergi
(La Stampa del 21 marzo 2010) che durante la cerimonia d’apertura dei
Giochi militari non c’è stato «nessun incidente ma soltanto qualche
timida e pacifica contestazione».
La contestazione, in realtà, non è
stata «timida»: è stata «civile», «educata».
Vi prego di non cadere nell’errore,
oggi così comune, di svilire la «pacatezza», quasi che solo lo
scontro violento sia degno di considerazione, l’unico modo possibile di
veicolare un messaggio.
Cordiali saluti,
Mario Badino
Lettera alla Stampa di Paolo Fedi, consigliere del comune di Aosta, sulle ragioni per disertare la cerimonia d’apertura dei Giochi militari.
Sabato non sarò presente alla cerimonia di apertura dei Giochi mondiali militari ad Aosta nonostante la mia condizione di consigliere comunale
del capoluogo possa far pensare a un mio interesse per questo evento.
Al di là della retorica sul concetto di pace in abbinamento allo sport –
che pur condivido essendo oltretutto un insegnante di educazione fisica
– non posso non osservare che il principale interesse locale per questo
evento è di tipo pubblicitario finalizzato a promuovere l’immagine
della regione come località di sport invernali.
La particolarità di
questo evento, tuttavia, è che gli atleti, oltre a essere tali, sono
anche dei militari: rappresentano cioè in queste gare gli eserciti di 42
paesi. Leggo dal sito della Regione che i promotori parlano
dell’aspetto istituzionale dei militari, enfatizzando il loro ruolo di
“portatori di pace”. Il problema è indubbiamente complesso: sappiamo che
anche in Italia vi è stato un gran dibattito rispetto all’uso
dell’esercito in missioni all’estero che forse tanto di pace non erano;
sappiamo che le Forze Armate, utilizzando soldi pubblici, suppliscono
alle difficoltà della società sportive nelle discipline non ricche di
sponsor; sappiamo che i nostri atleti militari sono molto più atleti che
militari. Resta comunque un punto fermo: i nostri sono i militari di un
paese democratico. Ma per quanto riguarda gli ospiti? Vedo sull’elenco
dei paesi partecipanti che, ad esempio, c’è una rappresentanza iraniana e
al solo pensiero mi tornano in mente le scene della repressione
mostrate nei mesi scorsi in seguito alle elezioni, penso ai giovani
arrestati, torturati, a quelli uccisi per strada. Da tempi immemorabili è
nota la propaganda che gli stati, specie se autoritari, ricercano
attraverso le gesta sportive. Se io fossi uno di quei milioni di
iraniani che hanno manifestato nelle strade, cosa penserei scoprendo che
il mondo occidentale ospita, come se niente fosse, non un semplice
atleta iraniano ma proprio le divise della repressione?
Tra i paesi c’è
anche la Cina: bene ha fatto La Stampa a restituirci la notizia della
richiesta (a quanto ho capito andata pure a buon fine) della delegazione
cinese di ammainare la bandiera tibetana che sventolava sulla sede
della scuola di sci di Gressoney perchè urtava la loro sensibilità! Ma
oltre a Cina e Iran nell’elenco dei partecipanti figurano anche altri
paesi sicuramente non democratici…
Parlavo prima di pubblicità: di fronte al marketing la Regione non ha
fatto difficoltà a stanziare un bel po’ di soldi, ho letto un milione e
300mila euro, senza porsi alcun problema su chi verrà in Valle a curare,
in maniera speculare, la propria immagine pubblica. Credo che certe
scelte andrebbero fatte in maniera più oculata perchè non si possono
considerare a unanimità di opinione pubblica alcune nazioni come
“canaglie” o semplicemente “stati repressivi” e nello stesso tempo
invitare le parti presentabili dei loro eserciti a mettersi in bella
mostra. Riuscirà la nostra Regione a esprimere almeno un banale gesto
ufficiale di “preoccupazione” per le continue violazioni dei diritti
umani che si continuano a perpetrare in alcuni dei paesi che si prepara
ad omaggiare? Sono convinto infatti che così come per opporsi alle mafie
bisogna combattere l’omertà, per far vincere la pace e i diritti umani
bisogna non restare indifferenti alle sofferenze della gente
gratificando chi le causa.
Paolo Fedi, consigliere comunale
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dei
Famosi!»
Nella foto, manifestanti dell’Arci
all’apertura dei Giochi mondiali militari.