Tu sei fascista e io non so che farci, non posso cambiarti la testa. Non ha neppure senso che parliamo insieme: a che servirebbe? Non lo dico per arroganza: semplicemente so che non abbiamo una base comune, un punto di contatto, mancano le premesse per il dialogo. Tu mitizzi un passato disgustoso, prendi per buona la propaganda di un regime finito quasi 70 anni fa, chiami libertà la schiavitù di un popolo. Quello fascista fu anzitutto un regime ipocrita – come tutti i regimi – già a partire dal suo atto costitutivo, la pagliacciata della marcia su Roma, con Mussolini che se ne restò a casa perché era il primo a non credere che la sua “rivoluzione” sarebbe riuscita, salvo poi precipitarsi a Roma e rivendicare il successo del “suo” colpo di Stato, quando il re decise in base a un calcolo errato di lasciar fare; il fascismo fu violento, dalle proprie origini squadriste alle “campagne” di Spagna, di Etiopia, di Libia e Albania, fino alla follia della seconda guerra mondiale, quando il cosiddetto «duce» (la guida, pensa tu) pugnalò alle spalle la Francia perché credeva finita la guerra; il fascismo fu razzista, in potenza già prima delle inumane leggi antiebraiche del 1938 e dell’alleanza con Hitler, perché sin dall’inizio si crogiolò con ideali di «superiorità» del popolo italiano, un’impostazione nazionalista capace di giustificare lo scontro con gli altri, con il diverso da sé, nel nome del destino che il fato aveva scritto per Roma.
Questo fu il fascismo. Chi nega questo ha visto un altro film: di che potremmo parlare? E se qualcuno riconosce queste cose e le giustifica, sono io che non intendo sprecare il mio tempo a discutere con lui.
Come dicevo all’inizio, tu sei fascista e io non so che farci: non ti posso cambiare la testa.
Il problema, però, è che ci sono tanti, tantissimi che non sono fascisti, ma che non sono neppure antifascisti. Il problema è che sta entrando nell’uso l’abitudine di definire violenti gli antifascisti, quando il nostro sistema immunitario nazionale dovrebbe avere avuto il tempo di immunizzarsi contro le antiche minacce. Il problema è che quasi 70 anni dopo la fine del regime bisogna ancora spiegare alla gente perché il fascismo è stato ed è cattivo e cercare di convincerla che la storia non è quella che piace ai revisionisti di destra.
Il problema è che realtà che si definiscono, più o meno apertamente a seconda della convenienza, «fasciste» trovano agganci e protezioni in certi politici e amministratori di destra, segno che in Italia una vera destra liberale non è mai nata e che da quella parte gli animi sono ancora troppo spesso prigionieri di certe nostalgie.
Pensa piuttosto a ciò che hanno fatto i comunisti!, dirà qualcuno.
Ma in Italia non c’è stato il regime comunista e sono ormai decenni che la sinistra italiana ha preso le distanze tanto da figure come Stalin, quanto dagli aspetti dittatoriali e totalitari delle esperienze concrete di Stato socialista. No, io penso a realtà come CasaPound, ai sedicenti «fascisti del terzo millennio», alle scritte ingiuriose comparse sui muri della mia città, Aosta – «Partigiano infame», ad esempio – e mi sento ribollire il sangue. E penso a quegli assessori comunali, a quei parlamentari, a quei rappresentanti dei cittadini, che non nomino, disposti a concedere spazio e ascolto ai militanti dell’estrema destra, senza alcuna idea di quella pregiudiziale antifascista che dovrebbe essere la normalità democratica di questa nostra Repubblica fondata, nelle intenzioni, sull’antifascismo, oltreché sul dio denaro e sul potere delle banche.
Con i fascisti nessun dialogo è possibile, ma voi non la pensate così, cari amministratori pubblici che vi sgolate per chiamare i boia di Salò «ragazzi» che hanno fatto una scelta coraggiosa; voi che equiparate le foibe allo sterminio nazista, quasi che l’appartenere al campo della destra vi trasformasse in tanti soldatini dalla crapa pelata intenti a gridare «Heil!». Voi che fate tifo da stadio, che avete scelto la destra e destra sia, e non importa fino a che punto, non importa che cosa implichi o significhi.
Non c’è bisogno che uno squilibrato a Firenze uccida e ferisca esseri umani per capire che c’è qualcosa che non va nel clima d’intolleranza per l’«altro», nella contrapposizione tra «noi» e «loro», nello scontro di civiltà, nel rifiuto dell’integrazione, nel dileggio degli immigrati. Gianluca Casseri «non era un militante della nostra associazione», afferma una nota di CasaPound, ma un «simpatizzante» al quale, com’è ovvio, non era stata chiesta «la patente di sanità mentale». Ma CasaPound non dice che questo «simpatizzante» (uno qualunque, «come altre centinaia di persone in Toscana, e altre migliaia in tutta Italia»), scriveva sul sito dell’associazione, anzi, nel cosiddetto «ideodromo»: dopo gli omicidi, i suoi testi sono scomparsi, chissà perché, ma ne è rimasta traccia su archive.org.
Dopo gli omicidi (omicidi, è chiaro di che cosa stiamo parlando?) ci sono stati, come non era illogico aspettarsi, alcuni «momenti di tensione». A Roma il corteo «pacifico» di solidarietà con le vittime, tenuto dalla comunità senegalese, è stato “infiltrato” dai famigerati «black bloc»: i militanti dei «centri sociali» hanno cercato di raggiungere la sede centrale di CasaPound. Lo dice il Messaggero in questo articolo, nel quale a essere presentati come “cattivi” sono tutto sommato soltanto «i giovani di estrema sinistra», che – per fortuna! – «non si sono mai avvicinati realmente all’edificio» e sono stati dispersi dalle forze dell’ordine (niente lacrimogeni: «è bastata un’azione di alleggerimento»). C’è poi giusto lo spazio per una dichiarazione anti centri sociali di Andrea Antonini, vicepresidente di CasaPound Italia, l’unico al quale sia stato dato il diritto di parlare, e l’articolo si conclude con la rinnovata contrapposizione tra il corteo dei senegalesi, assolutamente pacifico, e «i militanti in tenuta da black bloc», finalmente dileguatisi.
Sbaglierò, ma mi viene in mente l’atteggiamento dei giornali durante il biennio rosso, quando le aggressioni fasciste ai danni dei socialisti erano riportate come scontri tra le due formazioni e la vittima era equiparata all’aggressore. Non ho mai apprezzato la giustizia “fai da te”, ma mi sembra che il linguaggio di certi media sia la dimostrazione migliore del tentativo – al momento vincente – di sdoganare come normale la rinascita di movimenti apertamente fascisti. Intanto, naturalmente, CasaPound minaccia azioni legali contro chi cercherà di mettere in relazione l’omicida di Firenze e l’associazione. Perché ce l’abbiamo tutti con loro.