Di che cos’ha bisogno questo Paese in crisi sempre più nera? D’indignazione, insurrezione, ribellione (quale? come?), manifestazione, protesta? Delle barricate – pacifiche, ma sempre barricate; volte, cioè, a impedire l’accesso a quegli altri, ad esempio a chi vuole sfruttare l’aria di default per saccheggiare le ricchezze residue, a cominciare da quei beni comuni che sono stati rivendicati come intoccabili da 27 milioni di italiani (e a quegli altri non gliene frega un accidente)?
Di certi presidi toscani, in ogni caso, sicuramente no. Non sa che farsene, il Paese, di dirigenti che di fronte a studenti finalmente partecipi, intenti a occupare le scuole per difendere, con gli strumenti che hanno a disposizione, il sistema dell’istruzione pubblica, mettono mano alla penna per dire che la loro è una protesta sbagliata, che non è «seria», che non serve a nessuno. C’è bisogno di loro, invece, degli studenti che occupano, che lottano e che ragionano, e che scrivono cose stupende, come questa risposta del Collettivo studentesco di Pontedera, pubblicata sull’Unità.
«Cari Presidi,
scriviamo da una terra lontana, parole che forse non siete più in grado di capire. Siamo gli studenti del collettivo delle scuole superiori di Pontedera, cinque scuole superiori, quasi cinquemila alunni. Insieme, in questo collettivo, dopo un anno di proteste condivise, dopo nove giorni di occupazione condotti senza far danni, facendo proposte, incontrando esperti, assessori, senatori, gruppi musicali. Siamo ancora insieme dopo una fiaccolata per festeggiare insieme l’Unità d’Italia e ancora insieme dopo un concerto di fine anno in difesa della scuola pubblica. Insieme, noi studenti, qualche professore, qualche genitore, qualche operaio della Piaggio, qualche amministratore e poco altro. Insieme a discutere, a fare politica, a impegnarci come in una fortezza, ultimo baluardo prima della deriva, ultimo baluardo che crede ancora nella scuola pubblica che difende ancora la cultura e la bellezza, quella vera, quella che ci guida per il domani e non quella inutile e triste di una escort. Ultimo baluardo di un paese alla deriva che non crede più nella solidarietà ma che diventa ogni giorno più solo e più cattivo. Noi siamo qui. Ancora a ritrovarci, ancora a guardarci negli occhi ancora a parlare, ancora.
E voi? Voi dove eravate quando a poco a poco la scuola, e con essa il futuro di un intero paese, veniva scippata, derubata, quando a poco a poco tagliavano i bilanci, le ore, i professori, i banchi, la carta, le iniziative? Voi dove eravate mentre a poco a poco aumentavano le spese militari, le spese per la politica, le spese per le scuole private, per i privilegi, per le caste? Voi dove eravate quando si precarizzava il lavoro nel nome del libero mercato e della concorrenza, quando i vostri diplomati non sapevano dove sbattere la testa per trovare un lavoro? Voi dove eravate quando la cultura, che noi difendiamo era calpestata, derisa, ridicolizzata da grandi fratelli e idiozie televisive, quando l’informazione si faceva sempre di più disinformazione di regime?
Forse dietro scrivanie ad applicare circolari contraddittorie e inapplicabili, contrarie al buon senso, contrarie a chi vuol difendere il diritto di una scuola pubblica di tutti e per tutti. Forse a dire che la legge è legge, che va applicata! Probabilmente dissero così anche i Presidi quando nel 1938 furono emanate le leggi razziali, forse dissero così, sicuramente dissero così.
La Vostra generazione ci consegna un paese sull’orlo di un abisso economico, pieno di privilegi e di marciume, una mignottocrazia dove la cultura, quella che noi vogliamo difendere, ha meno valore di un calciatore panchinaro del Frosinone o di una velina semiscoperta di un programma in tarda serata.
Ci dispiace ma non accettiamo le Vostre lezioni su come protestare, se Voi aveste saputo farlo a quest’ora non saremmo qui, a quest’ora avremmo un altro tipo di scuola. Ci dispiace ma la Vostra lotta, se lotta c’è stata, è fallita, le Vostre parole ormai sono vuote, forse inutili, smentite dai fatti, rinnegate dalla storia.
Forse occuperemo, forse metteremo in atto altre forme di protesta o forse non faremo niente, ma non saranno le Vostre parole a dirci come fare. Incontriamoci, guardiamoci negli occhi, perché così bisogna fare, costruiamo insieme, senza ruoli. Ma niente lezioni e niente moralismi, per favore, la scuola non ne ha bisogno».
L’occupazione studentesca come scuola di politica e di vita, come risposta ai vaniloqui della Gelmini sull’importanza dell’educazione civica, certo più viva quando ci si mette in gioco, si lotta, che quando ci si limita a leggere sui libri di conquiste sociali la cui demolizione è in atto, non da oggi. Manuali che citano le conquiste dei lavoratori quando la possibilità di licenziare è concessa senza limiti e il mondo del lavoro è precarizzato e, con esso, la vita stessa dei lavoratori. Proprio nelle aule divenute sedi d’assemblea, è possibile trasformare l’intonaco scalcinato dei muri in centro di costruizione della conoscenza, della cittadinanza attiva, della solidarietà.
Bisogna indignarsi, indignarsi non basta.
Sabato 15 ottobre a Roma una manifestazione di protesta che si svolgerà contemporaneamente in tutto il globo porterà in strada l’indignazione collettiva, cercando di essere rivoluzione pacifica in un mondo che ha perso i propri riferimenti. Occorre riempire questa e le manifestazioni che la seguiranno di contenuti volti a superare il sistema economico corrente, quello che ha generato la crisi e pretende di risolverla con le proprie fallimentari ricette. Occorre ribadire l’importanza di una scuola pubblica che sia bene comune, capace di trasmettere conoscenza in forma critica. Che nelle differenze trovi un antidoto all’omologazione delle mode e del pensiero. Occorre impegnarsi in ogni città e paese per ribadire il valore della libertà, quella vera, quella usurpata da partiti che nel suo nome vorrebbero imporre la censura di Stato, nei giornali e su internet.
Occorre.