Ultimamente ho parlato spesso della provincia di Brindisi, nella quale rimarrò ancora qualche giorno. Alle persone di qui, una regione piccola e ricca del profondo nord (la Valle d’Aosta da cui provengo) non può non sembrare un’oasi di benessere e di buona amministrazione, con servizi che funzionano (è stata accolta con stupore la notizia – che qui confermo – che i pasti serviti all’ospedale «Umberto Parini» di Aosta siano perfino peggiori di quelli del brindisino «Antonio Perrino»), l’abbondanza del lavoro, eccetera eccetera.
Ora, è vero che in Valle d’Aosta il lavoro c’è, come anche è vero che certi servizi pubblici funzionano mediamente meglio (né sarebbe possibile il contrario, in una regione che conta appena 120 mila abitanti, contro i 4 milioni e passa della Puglia, e gode – ancora per quanto non lo so – di un’ampia autonomia). È forse vero persino che a essere ricchi è più facile difendersi (o è più difficile che ti attacchino). Fatto sta che le intimidazioni a suon di bombe non riguardano la realtà valligiana (ma si parla sempre più spesso della Valle come di terra di conquista della ‘ndrangheta e, per sapere se si paga il pizzo, forse dovrei essere un commerciante) né abbiamo petrolio da estrarre sotto qualche ghiacciaio montano (altrimenti state sicuri che ci proverebbero).
Sarà colpa delle dimensioni, lo ripeto, ma leggendo i giornali locali, o guardando il tg3 regionale, la Valle d’Aosta sembra un luogo fuori dal tempo, dove persino le rassegne culturali, gli spettacoli, i concerti sono sempre elogiati, mai criticati. La mia regione si offre allo sguardo dei propri abitanti come una realtà anestetizzata, pastorizzata, dove ci sono, sì, gli ambientalisti che protestano per questo e per quello, ma in fondo ciò che conta è lasciare tutto alla guida esperta dell’Union Valdôtaine e alla sua trentennale esperienza di potere. Ai non valdostani anche questa narrazione è preclusa, perché ciò che avviene oltre le colonne d’Ercole di Pont-Saint-Martin (il primo comune valdostano venendo dal Piemonte) difficilmente viene riportato.
Eppure, Aosta è sede di un’industria siderurgica non piccola, la Cogne Acciai Speciali, situata in piena città sul fondo di una stretta valle, e recentemente in alcuni quartieri sono stati registrati livelli di diossina superiori ai limiti di legge. Inquinamento che necessariamente ristagna in quella conca naturale che è la valle centrale, e che si somma al traffico dei TIR da e per il nord Europa, ai riscaldamenti delle abitazioni, accesi diversi mesi all’anno per la rigidità del clima, all’uso intensivo dell’automobile. Inquinamento che rischia di aumentare per la decisione della Regione di costruire un pirogassificatore in cui bruciare i rifiuti di una popolazione numericamente pari a quella di un quartiere di città, il tutto in presenza di una raccolta differenziata che ancora non raggiunge le percentuali previste dalla legge, e che non contempla, se non in pochi comuni, la separazione dell’umido. Una petizione, la più firmata nella storia valdostana, ha chiesto alla regione di mettere a confronto diverse soluzioni; la risposta è stata, semplicemente, che indietro non si torna.
Alla questione atmosferica bisogna sommare la devastazione del territorio, sempre più cementificato, come dimostra non solo la crescita infinita dei centri urbani (come dappertutto più rapida di quella della popolazione, anche perché a moltiplicarsi sono più facilmente i capannoni che non le case popolari), ma anche la miriade di strade poderali, rughe scavate sul fianco della montagna al nobile scopo, talvolta, di raggiungere uno o due alpeggi, lungo itinerari che da secoli erano percorsi senza impatto, a piedi. Citando a memoria, negli ultimi anni è stata realizzata una pista nel vallone del Grauson, sopra Cogne, è stato previsto l’ampliamento della mulattiera dell’Alleigne, si torna a parlare del prolungamento della poderale nello splendido vallone di San Grato e, se ho sentito giusto, si pensa di fare lavori nel parco naturale del Mont Avic con la scusa, priva di qualunque ritegno, di consentire le visite ai disabili. In altre parole, si portano in montagna le comodità della pianura, spendendo i soldi di tutti, se va bene allo scopo di semplificare la vita a una manciata di persone, se va male per far circolare il denaro, in base ai principi di un liberismo privo di qualsiasi coscienza ambientale.
Tra i valloni deturpati da strade non ho ancora citato, di proposito, quello di Comboé, che mi sembra esemplare dell’inutilità di certe opere, dello sperpero di denaro pubblico che comportano, degli effetti sul territorio. Ho fatto parte del comitato Amici del Vallone di Comboé, che ha tentato inutilmente di opporsi alla costruzione di una poderale che, elevandosi su tornanti oltre un gradino glaciale penetra oggi, e offende, uno degli angoli di montagna fino a pochi mesi fa ancora pochissimo contaminati dalla presenza umana. Abbiamo perso la battaglia e il nemico non ha fatto prigionieri (vari osservatori hanno notato incongruenze tra quanto previsto dalla valutazione di impatto ambientale e l’effettiva realizzazione dell’opera, come ad esempio il taglio di piante di grande fusto).
A Comboé il comune di Charvensod ha inseguito per anni l’obiettivo di servire l’unico alpeggio esistente, di sua proprietà, attraverso una strada poderale. Dove le bestie (e gli uomini) salivano da sempre a piedi è stata realizzata una trattorabile al costo stimato di 2 miloni e mezzo di euro, un quinto dei quali forniti dal comune, il resto dalla regione (ignoro se, a cose fatte, l’entità della spesa sia rimasta tale). Dal punto di vista economico vorrei che qualcuno mi spiegasse dov’è l’interesse della comunità. Da quello paesaggistico penso non vi siano dubbi sul fatto che una strada in montagna è meno gradevole del bosco e dei prati incontaminati. Dal punto di vista ambientale in senso lato, sembrano risibili le assicurazioni del comune di Charvensod, che aveva promesso di riservare l’uso della strada al solo conduttore dell’alpeggio (bella, comunque, l’idea di un’opera ad personam, a me piacerebbe un ponte), mentre è bastata l’idea di una festa da parte dell’allevatore per portare in quota una decina di auto, negli stessi prati in cui, per anni, ci siamo ritrovati – a piedi – per la difesa del vallone. «So che avevano organizzato una polentata all’alpeggio», ha dichiarato Ennio Subet, sindaco di Charvensod, a Daniel Quey (La Vallée di sabato 27 agosto). «Avevano invitato anche me ma non sono andato. Certo, se sono salite tutte quelle macchine è un episodio increscioso». Subet ha poi rassicurato circa le intenzioni di rendere impossibile il transito ai non autorizzati con una sbarra da collocare all’inizio della strada. «Saremo molto severi da questo punto di vista», ha aggiunto.
Una risposta al sindaco viene da Patuasia News, irriverente blog satirico valdostano (si confronti la vignetta pubblicata qui accanto), che dopo aver criticato un’opera fatta per un unico destinatario si mostra critico sulla possibilità di far rispettare il divieto: «Sappiamo fin troppo bene come vanno a finire queste cose», ha commentato: «metteranno una sbarra per vietare l’accesso e poi distribuiranno permessi a questo e a quello per consentirlo».
Per ora mi fermo. Tornerò presto a parlare di ciò che succede in una regione così sconosciuta e così simile alle altre, nonostante lo statuto speciale.
>>> Il titolo di questo articolo è dovuto al fatto che nel vallone di Comboé era stata individuata una nocciolaia albina. La ricchezza faunistica era una delle ragioni che avrebbero potuto portare al rispetto del vallone. Certo, sarebbe stato più corretto, benché indelicato, intitolare il post «Dove osano i polli». Perché non si può prendere a calci il proprio ambiente senza compromettere il futuro di tutti.