Succhiare petrolio al largo di Brindisi. È quanto si appresta a fare l’Eni, attraverso la controllata Saipem SpA, che trasformerà una petroliera in impianto galleggiante per l’estrazione del greggio, ad appena 25 miglia dalla costa brindisina. L’impianto avrà una capacità di stoccaggio di 700 mila barili, mentre la capacità produttiva raggiungerà i 12 mila barili al giorno. Le attività di estrazione saranno avviate, nel silenzio generale, nel quarto trimestre del 2011, vale a dire tra due, tre settimane al massimo.
13 mesi fa il ministro italiano degli esteri esprimeva la propria preoccupazione per le trivellazioni nel Golfo della Sirte autorizzate dall’allora leader libico (e buon amico dell’Italia) Mu’ammar Gheddafi a vantaggio della compagnia petrolifera Bp, quella dell’incidente alla Deepwater Horizon, il più catastrofico di sempre, quello – in buona sostanza – di cui ci siamo ormai dimenticati perché i media non ne parlano più. «Se un incidente come quello avvenuto nel Golfo del Messico si verificasse nel Mediterraneo» aveva dichiarato Frattini «sarebbe una catastrofe irreparabile, perché il Mediterraneo è come un lago». Di questo «lago» l’Adriatico non è che una minuscola appendice.
La salute dell’Adriatico, del resto, è già minacciata da altre possibili trivellazioni, ad esempio al largo delle isole Tremiti, ma tutto il Meridione d’Italia è finito sotto le mire delle compagnie petrolifere, tanto in mare – si pensi alla Sicilia – quanto sulla terraferma – ancora in Sicilia, in quel Val di Noto che l’Unesco ha definito patrimonio dell’umanità, e in Basilicata.
Per quanto riguarda Brindisi e il suo territorio, abbiamo a che fare con una terra già martoriata dalla presenza di industrie legate alla produzione di energia (due centrali a carbone, un Petrolchimico, il progetto, fortemente sostenuto da alcuni, di realizzare anche un impianto di rigassificazione). Una città cui il documento programmatico preliminare propedeutico al nuovo Piano urbanistico generale, approvato dal consiglio comunale lo scorso 25 agosto, imporrebbe di «individuare la via per un rinnovamento che può agevolare uno sviluppo positivo e contrastare gli insediamenti e le attività ritenute nocive come l’eccesso di produzione energetica da fonti fossili».
Sono anni che i comitati cittadini denunciano le inadempienze delle industrie presenti nel territorio, tanto circa la limitazione delle emissioni e la sicurezza, quanto circa le bonifiche delle aree contaminate dal carbone, previste dalla legge. Sono anni, soprattutto, che i comitati chiedono un nuovo modello di sviluppo e – più recentemente – l’avvio di un’indagine epidemiologica circa le conseguenze dell’inquinamento sulla popolazione della provincia.
La notizia dell’avvio delle trivellazioni nell’Adriatico porterà, mi auguro, a manifestazioni popolari e politiche contro il progetto. Purché il risveglio dell’opinione pubblica non giunga troppo tardi, a poche settimane dall’inizio dei “lavori”.
A chi obiettasse, come sempre accade, che non si può sempre essere contro, che c’è crisi e il petrolio serve, che chi non vuole gli idrocarburi dovrebbe essere disposto a ritornare alla vita di un tempo, che non si può – in breve – essere sempre “quelli del no”, o magari godere dei vantaggi della contemporaneità e rifiutarne le criticità; a queste persone – che siano in buona fede o meno – rispondo con tre argomenti.
1) Brindisi ha già dato. Sì, sono contro la presenza inquinante del Petrolchimico e delle centrali a carbone, ma queste strutture sono realtà non ipotesi. Io vorrei evitare di aggiungerne altre, perché già così la situazione è grave, tanto in termini di salute umana (e se così non fosse perché non si riesce ad avere un’indagine epidemiologica?), quanto in termini di “richiamo” turistico (erosione delle coste a parte, la sabbia delle spiagge comincia a coprirsi di nero, il che non è un bel biglietto da visita). In questa sistuazione, la sola prospettiva di aggiungere nuove minacce ambientali va rifiutata.
2) Se si crede nella possibilità di forme alternative – e pulite – di produzione dell’energia bisognerebbe rifiutare quando possibile di accettare lo sfruttamento di quelle vecchie. O almeno imporre una scelta e subordinare le nuove concessioni – ad esempio di trivellazioni petrolifere – alla dismissione delle attività produttive più inquinanti, ad esempio il carbone (senza danno per i lavoratori, ossia senza licenziamenti).
3) Oltre alla difesa dell’ambiente e della salute umana, c’è poi un terzo punto da prendere in considerazione. Per qualsiasi attività, dobbiamo domandarci quale sia (se c’è) la ricaduta benefica sulla comunità e, a partire da ciò, decidere se il gioco vale o meno i rischi cui espone la cittadinanza. In altre parole, dobbiamo considerare le riserve di greggio un “bene comune”, appartenente, in quanto tale, a una “comunità”; la concessione – non importa se a un privato o a un ente pubblico – della facoltà di sfruttamento del “bene” non potrà allora non essere subordinata all’approvazione della comunità che ne è proprietaria e al suo ampio coinvolgimento nei benefici prodotti (in questo caso gli utili realizzati!).
In caso contrario, ogni uso commerciale di un bene corrisponde a una spoliazione della comunità che ha diritto ad accedervi, una forma di sfruttamento simile al vecchio colonialismo. Non dovrebbe essere lecito mettere a repentaglio la sicurezza di una comunità (o asportarne la ricchezza) senza l’autorizzazione di chi appartiene alla comunità, e senza pagare il giusto prezzo. Allo stato attuale, quale parte dei profitti è previsto che vada direttamente all’Eni? Qual è la percentuale riservata allo Stato italiano? Quale quella regionale? Esistono, infine, o non ci sono proprio percentuali a risarcimento degli abitanti dell’area interessata (provincia e comuni)? Rispondano i fautori del “non si può sempre dire no” a queste domande.
PS: Posso proporre, molto umilmente, un boicottaggio dell’Eni? Smettiamo di fare benzina ai suoi distributori, per quanto appena rinnovati, e scriviamo alla multinazionale del petrolio, qualcosa del tipo: «Ho deciso di non servirmi più da voi perché non sono d’accordo con le trivellazioni petrolifere al largo delle coste italiane. Vorrei che Eni facesse il possibile per superare la dipendenza energetica dalle fonti inquinanti, anziché aprire nuovi pozzi». Non dimenticate i «Cordiali saluti» e aggiungete i vostri dati.
>>> Nella foto, un tratto del litorale adriatico in provincia di Brindisi.