Governabilità

«Governabilità» per il mondo della politica significa ridurre a due soggetti (o pochi di più) il più possibile somiglianti fra loro, le forze politiche destinate a competere alle elezioni.

Significa rafforzare i poteri del governo sminuendo la funzione del Parlamento e ponendo i magistrati alle dipendenze dell’esecutivo.

Significa ritenere – nel nome dell’«unzione» elettorale – di essere al di sopra di qualsiasi giudizio, legittimati a decidere sulla testa di tutti.

«Governabilità» per il mondo dell’imprenditoria significa smantellare le conquiste sociali e dei lavoratori, quelle scritte nella Costituzione e nelle altre leggi dello Stato.

Si guardi a ciò che accade alla Fiat, sotto la guida miopissima di Marchionne.

L’amministratore delegato del gruppo si rifiuta di illustrare ai sindacati il proprio piano industriale, se prima non gli sarà garantita la «governabilità» delle fabbriche. Vale a dire, per essere chiari, la rinuncia da parte degli operai ai diritti fondamentali, compreso lo sciopero, compresi i primi tre giorni di malattia (che non sarebbero più pagati; ma perché, poi?), compresa la sospensione della mezzora di mensa, se le esigenze del mercato lo richiederanno.

Tanti straordinari per tutti, invece, ma senza contrattazione di fabbrica.

Tutto ciò nel nome delle esigenze del mercato.

Tutto ciò nel nome della produttività.

Tutto ciò attraverso la minaccia di portare le fabbriche all’estero.

Se in Italia ci fosse un governo (altro che «governabilità»!) tale ricatto cadrebbe nel vuoto. Basterebbe rispondere alle minacce di delocalizzazione con l’ingiunzione di restituire tutti gli aiuti ricevuti dalla Fiat con il denaro dei cittadini.

Ma cane non mangia cane e il governo è connivente nello smantellare servizi e diritti, nel piegare l’amministrazione della cosa pubblica a esigenze di classe. Insieme a quei sindacati che hanno chinato il capo, il ministro Sacconi chiede «responsabilità» alla Cgil e alla Fiom. Non è più il tempo – assicurano – del conflitto sociale.

E allora perché lo praticano?

Come potrebbe essere definita altrimenti l’aggressione di Marchionne ai diritti dei lavoratori se non in quanto «lotta di classe», lotta dei padroni contro il lavoro?

Ci vogliono convincere che i tempi sono cambiati, che non ha più senso utilizzare termini come «capitale» o «conflitto». Ma se i movimenti che ne avevano fatto le loro parole d’ordine sono stati sconfitti dall’ideologia unica liberista, ciò non significa che la lotta per sostituire un sistema iniquo sia oggi meno urgente.

Anzi: con il passare degli anni, le conquiste sociali sbiadiscono, il padronato alza la testa, le ingiustizie sociali aumentano, come aumenta la distanza fra il reddito di chi ha tutto e quello di chi non arriva alla terza settimana del mese, come esplodono le emergenze ambientali, legate anche queste alla cattiva politica e al ruolo dell’imprenditoria.

La vera «governabilità» non è quella ricercata da Marchionne e neppure quella che tanto Bersani, quanto l’inquilino dei palazzi Chigi e Grazioli invocano. La vera «governabilità» non può prescindere dal superamento del capitalismo.

Anche se tutto ciò “sembra antiquato”.

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