Alla fine non ne ho avuto il tempo, ma giovedì scorso, 11 settembre, avrei voluto ricordare sul blog le vittime dell’eccidio del World Trade Center di New York e, insieme a loro, le altre, quelle della cosiddetta «guerra al terrorismo», inaugurata dall’amministrazione Bush in risposta al crollo delle Torri. C’è chi non sopporta le celebrazioni, trovandole retoriche e scontate, ma credo nel valore del fare memoria, anche come antidoto alla perdita d’identità di un Occidente che non sa più riconoscere i propri valori fondanti, primi fra tutti i diritti umani. In questo senso, per quanto le radici dell’attuale «scivolamento identitario» siano più profonde, l’11 settembre costituisce uno spartiacque dal quale è impossibile prescindere: l’«attacco al cuore dell’America» – così è stato percepito – ha fornito l’occasione per scatenare guerre imperialiste (e controllare nuove fonti energetiche) e per minare diritti dati ormai per acquisiti in Europa e negli Usa. Non credo che il presidente degli Stati uniti abbia ordinato personalmente le torture nelle carceri irachene o a Guantanamo, ma certamente le ha coperte e rese possibili, anche ratificando, a posteriori, la legittimità di tecniche d’interrogatorio fino a quel momento ritenute lesive della dignità umana. Ma la perdita di garanzie riguarda tutti i cittadini. Un esempio di legislazione d’emergenza votata all’indomani degli attentati del 2001 è ben sintetizzato da Marco D’Eramo sul manifesto dell’11 settembre: «In base al Patriot Act (ottobre 2001) è del tutto possibile che mentre tu ceni a casa tua a Mestre, Barletta o San Gimignano, qualcuno irrompa in casa tua, ti sequestri, ti metta su un aereo che ti scarichi nella base di Diego Suarez e che lì tu venga giudicato da un tribunale militare, in segreto, senza diritto di appello e lì tu venga condannato a morte e la condanna sia eseguita e tu scompaia dalla faccia della terra senza che nessuno sappia mai dove sei finito e perché non si hanno più tue notizie» [leggi tutto l’articolo: New York prigioniera del sospetto. Chiunque può essere un nemico]. L’uso, da parte del giornalista, di nomi di città italiane non è casuale, se si pensa alla vicenda di Abu Omar, l’imam di Milano, rapito dalla Cia in Italia e torturato in Egitto nel più perfetto disprezzo del diritto, italiano e internazionale. Le due amministrazioni guidate da George W. Bush hanno confermato e acuito, nel mondo, un’idea non nuova: quella di una superpotenza americana svincolata dal giudizio della comunità internazionale, cui la potenza economica e militare consentirebbe il massimo dell’arbitrio e dell’impunità. In altre parole, è cresciuto nel mondo l’«odio» per gli Stati uniti e per i loro vassalli (non soltanto) europei (si veda, in proposito, il saggio Perché ci odiano, del giornalista Paolo Barnard). La politica estera americana, dalla fine della guerra fredda a oggi, non ha contribuito granché alla distensione e alla pacificazione internazionale. Le forti tensioni tra Washington e i governi dell’America latina, così come, in gran parte, i nuovi attriti con la Russia, possono essere letti come una conseguenza della volontà statunitense di egemonia mondiale.
L’11 settembre è stato anche l’anniversario del golpe cileno, attraverso il quale, nel 1973, il generale Augusto Pinochet, spalleggiato dagli Usa, rovesciò il presidente Salvador Allende, che aveva vinto, democraticamente, le elezioni. Nel centesimo anniversario della nascita di Allende, si moltiplicano le iniziative volte a ricordarne la figura e l’opera. Per chi si trovasse più o meno in zona, invito a tenere d’occhio il sito dell’espace populaire di Aosta, che sul tema ha già organizzato alcune iniziative e altre ne realizzerà nel corso dell’anno.
Tornando al discorso iniziale, vorrei aggiungere qualche parola sull’annacquamento di quei valori democratici che, pure, le Costituzioni pongono alla base delle nostre società. Il tempo mi permette soltanto una rapida carrellata, ma ne approfitto per ricordare le parole del sindaco di Roma, Alemanno, e del ministro della difesa, La Russa, volte a smentire la totale negatività dell’esperienza fascista e, addirittura, della filonazista Repubblica sociale italiana. Sembra che l’antifascismo sia percepito sempre meno come un valore fondante della nostra Repubblica e che i nostalgici ne approfittino per “rialzare la testa”, mentre nelle nostre città si moltiplicano gli episodi di aggressioni e violenze commessi da esponenti di estrema destra. Allo stesso modo, la propaganda securitaria, che (quasi) tutto punta sulla demonizzazione dello «straniero» sta producendo risultati gravissimi, ultimo fra i quali l’omicidio di un giovane di 19 anni, nato in Burkina Faso, ma cittadino italiano, ucciso a sprangate dai gestori di un bar, a Milano, per aver rubato dei biscotti. È in corso un’involuzione antidemocratica le cui ragioni vanno cercate in un modello culturale preciso, quello della destra al potere, ma soprattutto nell’interesse economico di chi avrebbe tutto da guadagnare da un ritorno al passato in grado di cancellare lo Stato sociale e le conquiste dei lavoratori. Il nuovo autoritarismo non impedisce l’impunità delle caste, ma tenta di liquidare con la repressione l’espressione del pensiero critico, sia che si tratti di censurare un comico (Sabina Guzzanti indagata per vilipendio al pontefice), sia che si decida di manganellare una comunità (il sit in davanti al Dal Molin a Vicenza) o di blindare le discariche campane per impedire alla popolazione l’espressione del dissenso. Mano dura anche nei confronti della delinquenza spiccia, ovviamente, con la proposta di mettere le celle negli stadi per i tifosi più facinorosi (a proposito, perché non appendere delle grandi gabbie agli spalti, così da garantire anche un bell’effetto gogna?), per i quali non sarebbe previsto alcun Lodo Alfano.
In questo contesto, però, c’è chi può continuare a dire la sua, contribuendo in tal modo a promuovere l’educazione e la crescita, culturale e politica, di tutti i cittadini. È Mario Borghezio, che alla manifestazione della Lega Nord a Venezia ha tenuto un discorso improntato a ideali di uguaglianza e solidarietà. «Non ci rompete più i coglioni con gli immigrati, vecchie facce di merda!», ha infatti auspicato l’europarlamentare piemontese, il quale ha in seguito soggiunto: «Roma, sono cazzi tuoi, ti facciamo un culo così! E d’ora in poi i nostri schei col cazzo che li vedete!». Deliziosa la conclusione, un vero e proprio inno alla libertà d’espressione, anche nel dissenso: «E poi finalmente turaccioli su per il culo dei giornalisti!».
Una proposta politica?
L’immagine che ritrae Sabina Guzzanti è un particolare di una foto di Francesco Buratti.