Tre istantanee e tre diverse angolazioni dell’espace populaire di Aosta gremito per Marco Travaglio, in occasione della presentazione di Uliwood Party, volume che raccoglie gli articoli pubblicati dal giornalista sull’Unità, cronaca impietosa del primo anno e mezzo di governo del centrosinistra. Quello che segue è il racconto della serata, nella quale Travaglio ha “distrutto”, col suo stile sarcastico ma estremamente puntuale l’attuale maggioranza di governo. Le idee esposte non coincidono sempre con le mie, anche se – nel complesso – il mio giudizio sull’operato del governo Prodi è altrettanto negativo.
Come chi mi segue da un po’ aveva forse intuito.
Travaglio esordisce brutalmente, dicendo che quando il governo cadrà (molto presto) se lo sarà abbondantemente meritato. In due anni, infatti, l’attuale maggioranza è riuscita a bruciare grandissima parte del consenso che le aveva consentito di vincere le elezioni. Le cose buone fatte dall’esecutivo di centrosinistra sono, secondo Travaglio, due. Da un lato il ritiro dei nostri soldati dall’Iraq («ma, per qualche ragione misteriosa, non dall’Afghanistan») e dall’altro la politica di risanamento economico. Travaglio loda l’uscita del ministro dell’Economia, Padoa Schioppa, che ha definito «bellissime» le tasse, perché è stato l’unico a farlo. Negli ultimi anni, infatti, il berlusconismo si è esteso talmente che molti, anche nel centrosinistra, sono diventati berlusconiani senza neppure accorgersene. Quando nel ’94 il Cavaliere aveva detto che l’evasione fiscale non era un male, c’era stato un grande moto d’indignazione. Oggi no. Per Berlusconi bisogna tagliare le tasse, indipendentemente dal fatto che vi sia chi le paga e chi no, o da quali siano le esigenze dello Stato. Il che, commenta il giornalista, è «delinquenziale e demenziale». La cosa da fare, infatti, è pagare tutti per pagare meno, non, come sostiene l’ex premier, abbassare le tasse per convincere tutti a pagarle. «Nei Paesi seri», dice ancora Travaglio, «chi non paga il fisco finisce in galera». A proposito della berlusconizzazione della politica italiana, è esemplare come Veltroni, nel suo discorso agli imprenditori del nord est abbia recuperato il principio del leader di Forza Italia, secondo il quale occore pagare meno per pagare tutti.
Eppure, il problema nell’Italia di oggi non è la pressione fiscale (superiore rispetto alla media europea solo dello 0,3%), ma come le tasse sono distribuite. C’è chi le paga e chi no e questo è in gran parte responsabilità della politica, tant’è vero che, quand’è cambiato il governo, è bastato vedere le facce di Padoa Schioppa e Visco al posto di quella di Tremonti per convincere molti evasori che qualcosa era cambiato. E il governo s’è trovato con due extra gettiti, i famosi “tesoretti”, benché nulla fosse stato ancora attivato per lottare contro l’evasione fiscale. Per quale ragione, allora, domanda Travaglio, i Rutelli e i Veltroni parlano come Berlusconi?
Si prenda il conflitto d’interessi. Nel ’94, rendendosi conto dell’anomalia costituita dalla propria posizione, lo stesso Berlusconi aveva parlato di blind trust per le sue proprietà: le azioni fininvest sarebbero state inserite in un fondo cieco. La sinistra italiana aveva riso di quella proposta, perché la natura stessa dell’impero mediatico del Cavaliere la rendeva insufficiente: infatti, conservare la proprietà equivaleva a conservare intatto il potere d’influenzare l’opinione pubblica. Oggi è il centrosinistra a presentare una proposta di legge molto simile a quella berlusconiana del ’94. È il ddl Franceschini-Violante che, oltretutto, considera il presidente di Forza Italia attualmente non in stato di conflitto d’interessi, perché non più al governo! In 13 anni, le risate di un tempo si sono strasformate in una proposta assimilabile a quella di Berlusconi, che il guardasigilli Mastella si è rifiutato comunque di firmare, ritenendo «eccessivo» il disegno di legge.
Anche per quanto riguarda la Rai, ci si aspettava una politica diversa da parte del centrosinistra. Ci si attendeva che il governo Prodi avrebbe riportato in televisione quelli che erano stati cacciati nel corso della precedente legislatura. Ci si attendeva anche che la nuova maggioranza avrebbe delottizzato il servizio televisivo pubblico. Invece non è cambiato nulla. È stato semplicemente sostituito il consigliere Petroni col consigliere Fabiani, portando gli equilibri interni da un 5:4 a favore della Casa delle Libertà a un 5:4 a favore dell’Unione. Anzi, a un 4,5 per uno, se si considera che Petruccioli, consigliere di centrosinistra, è stato nominato su indicazione di Confalonieri. Anche riguardo ai cacciati, non è cambiato nulla. È stato reintegrato Enzo Biagi in un orario impossibile ma, per il resto, niente. Neppure Santoro è stato richiamato in video dall’attuale centrosinistra. Il conduttore, infatti, è tornato in Rai alla fine della scorsa legislatura, grazie a una sentenza del tribunale di Roma. Contro tale sentenza la Rai targata centrosinistra ha fatto ricorso in corte d’appello, per cui il posto del conduttore di AnnoZero potrebbe essere in pericolo.
Un mese fa, subito dopo il V-Day, il ministro Mastella era ospite da Floris, a Ballarò. Erano appena stati scoperti i suoi voli sugli aerei di Stato, utilizzati dal ministro per questioni assolutamente private. Quando Floris ha avuto l’ardire di fargli una domanda più burbera del solito, Mastella se l’è cavata commentando: «Se lei è qui, qualcuno l’avrà segnalata». «Sì, è vero» è stata la disarmante risposta del conduttore. Il rapporto tra i politici e la Rai non è affatto cambiato con il cambio di governo. Il centrosinistra ha trovato comodo approfittare del lavoro sporco portato avanti da Berlusconi. Appena 10 anni fa, nonostante la lottizzazione, il panorama televisivo italiano era molto diverso, soprattutto per quanto riguarda l’informazione. Con la nuova legislatura, si è partiti dal livello lasciato da Berlusconi, decisamente conveniente per chi governa. Il compito di un’informazione libera, infatti, è principalmente quello di occuparsi del governo, non dell’opposizione. Per queste ragioni, il Tg1 di Riotta è esattamente come quello di Mimun.
Il capolavoro di Riotta è stato realizzato in occasione del V-Day, quando il Tg1 si è confermato come il servizio d’ordine del potere. Più di un milione di persone ha invaso 200 piazze d’Italia e Riotta non ha mandato una sola telecamera a coprire l’evento. Allo stesso modo si sono comportati il Tg2 e il Tg3, nonché i telegiornali di Mediaset e di La7. Le immagini del V-Day sono state trasmesse in esclusiva da AnnoZero il 21 settembre, 15 giorni dopo il V-Day! I direttori dei telegiornali avevano capito che i loro «mandanti» avrebbero chiesto conto dell’aver mandato in onda il V-Day. Beppe Grillo aveva offerto la diretta gratuita al Tg3, ma il direttore aveva rifiutato, dicendo di «non voler creare un precedente» pericoloso. Mostrare in televisione migliaia di persone che si riuniscono per fare politica costituirebbe un precedente pericoloso. Finalmente, quando le televisioni hanno dovuto parlare del V-Day (perché nel frattempo la notizia era uscita sui giornali), hanno cercato in tutti i modi di squalificarlo. Si sono inventati, ad esempio, che in piazza la gente aveva inneggiato all’omicidio di Marco Biagi. Dopo la demolizione del V-Day è cominciata la demolizione di Grillo: Riotta ha inviato le telecamere a stazionare davanti alla casa del comico genovese, per indagare sulle sue abitudini e sul suo passato. Hanno tirato fuori le sue vicende personali per non parlare del fatto che il V-Day aveva radunato un milione di persone.
Cosa c’è di eversivo (si chiede Travaglio) nelle proposte di Grillo? Nel chiedere che una persona condannata definitivamente per un reato grave resti fuori dal Parlamento? Ma in TV le proposte sono state presentate come assurde.
Anche nel rapporto tra la politica e gli affari, il processo di berlusconizzazione è evidente. Oggi i nipoti di Berlinguer sono sorpresi al telefono con Stefano Ricucci. Per risolvere la questione del conflitto d’interessi c’erano due modi: o vietarlo, o crearsi i propri. Il centrosinistra ha optato per il piano B. Il tentativo non è andato a buon fine solo per l’intervento di alcuni magistrati che hanno ancora voglia di fare il loro lavoro. Le telefonate registrate tra furbetti e parlamentari denotano un rapporto malatissimo, berlusconiano, tra politici e imprenditori. Tanto Berlusconi e i suoi uomini, quanto D’Alema, Fassino e La Torre hanno tentato scalate in conto proprio. E tutti appoggiavano l’esproprio di una proprietà diffusa come quella del quotidiano Il Corriere della Sera. La legge Boato del 2003 prevede che se in una telefonata viene registrata la voce di un parlamentare, la registrazione potrà essere utilizzata solo con l’autorizzazione del Parlamento. Altrimenti, la telefonata sarà inutilizzabile e la bobina sarà distrutta. Succede, però, che la procura debba inviare la bobina al GIP che, prima di chiedere l’autorizzazione al Parlamento, dovrà procedere a una sua trascrizione. La trascrizione è affidata a un perito. Essa viene comunicata agli imputati (nel caso specifico, 83 persone) e ai loro avvocati. A seguito di questa trafila è giocoforza che la notizia venga divulgata e finisca sulle pagine di qualche giornale. Dopo la pubblicazione delle intercettazioni di D’Alema e soci, il mondo politico ha gridato alla violazione del segreto. Ma il segreto istruttorio è stato abrogato nell’89, mentre quello investigativo finisce nell’istante in cui viene messo al corrente l’imputato. Ancora una volta, si è gridato alla violazione del segreto per non dover parlare del merito. Si è scelto di parlare d’altro, della Forleo, ad esempio, dipingendola come una matta, fissata con le telefonate dei parlamentari. E intanto, dopo la magra figura fatta da D’Alema e Fassino, i Ds hanno dovuto incaricare Veltroni di fare il Pd.
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Ciao,
solo due righe per ringraziarti di aver pubblicato il reso conto della serata. Avrei voluto esserci, ma non ho potuto per causa di forza maggiore. Penso anch’io che il governo abbia i giorni contati e sono d’accordo con Travaglio quando afferma che se l’è meritato.
Grazie ancora