Nella Fattoria degli Animali di Orwell, gli animali sono tutti uguali e godono di pari diritti, cosa ben lontana dalla realtà. Vi è poi chi tradisce (i maiali) e prende il potere per sé, cancellando i diritti degli altri. E questo, purtroppo, è meno lontano dalla realtà. Spiace pensare che chi per statuto si occupa degli altri (magari dei lavoratori) possa cambiare ragione sociale (ps: ho saputo che a Bologna c’è un sindaco-sceriffo che ha lo stesso nome e cognome del sindacalista Cofferati…).
Naturalmente io non sono un economista e nel dettaglio certe cose non le capisco. Però devo dire che alcuni entusiasmi sindacali riguardo all’accordo sul welfare del 23 luglio mi sembrano del tutto fuori luogo. L'altra mattina sono stato a un’assemblea sindacale, ho ascoltato i segretari confederali della mia città, li ho sentiti descrivere il protocollo come la migliore intesa possibile: perfetta no, ovviamente, ma al governo non si sarebbe potuto strappare di più. «Un accordo soltanto “a prendere”», così ci è stato presentato. Eppure, le nuove “conquiste” non mi sembrano affatto sostanziali e non mi pare che andare in pensione 3 anni prima delle altre categorie di lavoratori perché si è fatto per almeno mezza vita lavorativa un lavoro usurante giustifichi toni così trionfalistici. Aver trasformato in scalini lo scalone Maroni potrà aiutare a non fare il passo più lungo della gamba, ma non capisco perché bisognerebbe gioire al pensiero che nel 2008, invece di andare in pensione a 60 anni d’età con 35 anni di contributi, come prevede la riforma Maroni, sarà sufficiente averne compiuti 58, sempre con 35 di contributi pagati, mentre nel luglio 2009 si potrà “scegliere” tra i 60 anni + 35 o i 59 + 36…
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, non vedo come siano state scoraggiate le forme contrattuali atipiche. Il fatto che dopo 36 mesi di lavoro a contratto il lavoratore possa avvalersi dell’assistenza del sindacato al momento della nuova firma, abbiate pazienza, non mi pare un gran deterrente contro gli abusi delle imprese, che hanno tutta la convenienza a cumulare tanti contratti a termine invece di assumere il lavoratore a tempo indeterminato. E credo che la lotta alla precarietà figuri ancora tra le buone intenzioni del sindacato (del governo non più) e non faccia davvero parte dell’accordo.
Poiché alla fine dell’assemblea era possibile votare sì o no in anticipo rispetto alla consultazione della settimana prossima, ho deciso di seguire il cuore e di bocciare l’intero pacchetto, confortato tra l’altro dall’idea che tanto vincerà il sì e che quindi le minacce dei centristi della maggioranza di votare il ripristino totale della legge Maroni insieme al centrodestra in caso di modifiche all’accordo di luglio saranno nei fatti vanificate. Perché, ancora una volta, vale il principio in base al quale, se non si sta attenti, si fa cadere il governo e dopo torna Berlusconi.
Il problema, comunque, esiste. Facendo un po’ di credito se non a Prodi almeno ai sindacati, si potrebbe immaginare un certo dissidio nel petto di chi forse vorrebbe tutelare di più i propri iscritti, ma cede all’esigenza di garantirsi dal ritorno dell’orco cattivo e dal conseguente spalancarsi della Terra sotto i piedi del Paese.
Il ricatto, in ogni caso, è vecchio: è stato riproposto in troppe occasioni, dai rifinanziamento della guerra in Afghanistan a finanziarie spudoratamente pro impresa. Viene da gente che ormai condivide con i propri avversari il quadro ideologico di riferimento e cui un mercato sogghignante fa da unico faro, pronta a svendere le garanzie dello Stato sociale in base al principio dell’autonomia senza limiti della libertà d'impresa.
All’omologazione dei diversi, che ha trasformato partiti con idee distinte nello stesso pastone indigesto (fino alla costituzione ancora in corso d’opera del Partito Democratico, grande contenitore mediatico), fa capo anche l’arrendersi senza colpo ferire delle parti sociali, che hanno metabolizzato il nuovo quadro culturale e che da esso non osano staccarsi. Votare no al referendum sul pacchetto welfare significa anche scuotere le segreterie del sindacato, nella speranza che non sia troppo tardi per pretendere un atteggiamento nuovo, rigorosamente dalla parte di chi ha meno, indipendentemente dal Pd e dalle sue sirene.
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