La terra sotto i piedi

 Solo tre regioni italiane (Molise, Toscana, Veneto) si sono adeguate alla nuova mappatura del rischio sismico effettuata dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) nel 2006. Sulla base della mappa «MPS04» (che utilizza una scala che va da un massimo di 1 a un minimo di 4 per codificare il rischio di pericolosità di un terremoto) alcune zone precedentemente considerate di livello 2, dovrebbero rientrare nel livello 1, ovvero di «massima pericolosità». Nella maggior parte dei casi, però, non è stato effettuato l’adeguamento, come denuncia il sismologo dell’Ingv Carlo Meletti sul manifesto del 18 aprile. Nella mappa, ad esempio, la provincia aquilana è classificata come livello 1, ma a oggi la zona è ancora considerata di livello inferiore, quindi meno pericoloso. Ora, se le mappe non aiutano a prevenire un terremoto, possono rivelarsi utili, com’è facile immaginare, nel «definire priorità di adeguamento sismico degli edifici e guidare interventi di preparazione al terremoto». L’aggiornamento non c’è stato, forse sarebbe il caso di pensarci.
 
 La furia della natura addita le manchevolezze umane. Terremoti a parte, il territorio italiano è disastrato e l’opera più «grande» cui un governo potrebbe metter mano oggi non è il Ponte sullo Stretto, ma il risanamento del territorio. Alle inadeguatezze sotto il profilo sismico, ne corrispondono moltissime altre sotto quello idrogeologico. Il rapporto di Legambiente «Ecosistema rischio 2008» evidenzia come il 77% di quasi 1.500 comuni esposti a rischio idrogeologico monitorati abbia abitazioni minacciate da frane e alluvioni. «L’abusivismo edilizio e l’estrazione illegale di inerti contribuiscono in maniera determinante a sconvolgere l’assetto idraulico del territorio», dichiara, ancora al manifesto, Giorgio Zampetti, coordinatore dell’ufficio scientifico di Legambiente. «Per non parlare dell’urbanizzazione diffusa e caotica, i siti produttivi e le infrastrutture viarie che hanno causato una canalizzazione forzata dei corsi d’acqua».
 
 Disastri e cemento vanno spesso d’accordo, anche perché – come s’è detto altrove – l’Italia è a tutti gli effetti una Repubblica che sul cemento è fondata, al punto che fra i pochi interventi fatti per mettere in sicurezza il territorio, spicca proprio la cementificazione dei corsi d’acqua. Secondo una stima del ministero dell’ambiente, per mettere in sicurezza il territorio italiano, ci vorrebbero 43 miliardi di euro, una cifra pari a quella già spesa allo scopo tra il 1956 e il 2000. Qual è stato il risultato di quegli investimenti? Interventi inadeguati, sprechi e un Paese ancora dissestato, che ora si prepara a edificare le centrali nucleari, le new town di Berlusconi e ad aumentare la cubatura degli edifici, in virtù del Piano casa approntato dal governo. Col risultato possibile di allargare per davvero i cimiteri, come ha ipotizzato Vauro nella vignetta che lo ha allontanato dalla Rai, se si considera che proprio il dissesto idrogeologico della Penisola ha causato svariate decine di morti negli ultimi anni.
 

 
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 «Mentre assisteva al procedere del corteo, Philip ebbe una visione: Londra estesa quanto il mondo. Un’unica enorme escrescenza, fatta di palazzi e torri svettanti, abituri fatiscenti, slarghi scenici, fontane e giardini, intrichi di viuzze dove il sole non giungeva mai. Un mondo edificato, messo in opera, pavimentato, lastricato, puntellato; un mondo in costruzione, stratificato, rovinoso, marcescente; un mondo di luce artificiale e molte tenebre, salvezza per pochi e condanna per la maggioranza: la nobile città di Londra e Westminister.
 Pisciò l’ultima pinta contro un muro di mattoni e riprese la camminata, finché il paesaggio dei sobborghi lasciò il posto alla campagna.
 Philip giunse in cima a una salita e si guardò alle spalle. Le ultime case di Londra distavano mezzo miglio. Sulla città gravava un manto plumbeo. L’uomo si guardò attorno. C’era nell’aria un vago sentore di primavera.
 Decise che era giunto il momento di tagliare per i campi.»
 


 La citazione finale è tratta dal libro Manituana, del collettivo Wu Ming (Einaudi 2007), pp. 231-232. Il testo del libro è liberamente riproducibile, secondo la seguente dicitura degli autori: «Si consentono la riproduzione parziale o totale dell’opera e la sua diffusione per via telematica, purché non a scopi commerciali e a condizione che questa dicitura sia riprodotta».

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