«Lo Stato non vi abbandonerà»

 

 Ho avuto modo di riflettere su quanto ho pubblicato l’altro giorno in queste pagine, su una tragedia – il terremoto abruzzese – che forse avrebbe meritato toni più pacati. Non essendo in alcun modo un esperto, non ho idea se sia vero o no che il sisma poteva essere/era stato previsto. Non so neppure come si sarebbe potuto mettere al sicuro un’intera popolazione per un lasso di tempo indeterminato, anche in caso di
previsione corretta. Di questo non voglio parlare perché, lo ripeto, non è il mio mestiere. Ma credo sia sufficiente un po’ di buon senso per domandarsi come abbiano fatto a cadere gli edifici di costruzione recente, per l’edificazione dei quali erano stati previsti rigorosi criteri antisismici: «siamo il paese delle regole scritte con solennità e violate con estrema facilità», commenta Paolo Berdini sul manifesto del 7 aprile. Allo stesso modo, se m’infastidisce il presenzialismo del presidente del consiglio, che pure ha il dovere d’intervenire, ciò che davvero mi ferisce è la retorica di chi dice: «Lo Stato non vi abbandonerà», applicata a un Paese che non ha ancora finito di sistemare i terremotati umbri, alcuni dei quali vivono ancora nei container a distanza di anni. Siamo il Paese che “risolve” le emergenze rifiuti nascondendo la polvere sotto il tappeto, che non ha messo al sicuro le scorie radioattive prodotte fino a 20 anni fa nelle centrali nucleari italiane e nel contempo pensa di aprirne di nuove; siamo la patria delle eurotruffe, del calcestruzzo scadente… Possibile che tutti i media si “stringano” attorno ai vertici istituzionali – occupati saldamente dalla gente che ci ha governato negli ultimi anni – i quali spergiurano che lo Stato è vicino, senza mai dubitare, senza ricordare la storia recente d’Italia, pronti (forse) a spegnere i riflettori non appena giungeranno altre notizie da prima pagina? Credo che in questo caso sia stato onesto il presidente del senato, che ha dichiarato che potremo misurare davvero la capacità di solidarietà del Paese solo quando l’attenzione del grande pubblico sarà venuta meno. Confido che anche allora qualche giornalista vero saprà tener viva l’attenzione della società civile, ma osservo che in tanti altri casi ciò non è accaduto. E vengo al ruolo dei media.
 Suppongo che definire «sciacalli» i giornalisti precipitatisi in Abruzzo per fare il loro lavoro, come nell’articolo dell’altro giorno, sia stato ingeneroso. Eppure, fatte salve le debite eccezioni, in che altro modo definire chi non esita a far mercato del dolore? Chi per pure esigenze di audience mostra i cadaveri estratti dalle macerie all’ora di pranzo e di cena, con i bambini davanti al televisore? Chi propone serie infinite di lacrime e parole, tutte uguali, come se l’intervista televisiva costituisse una forma di catarsi catodica
collettiva, valida a compensare delle perdite e del dolore? Credo che le vittime della tragedia abruzzese meritino maggior rispetto e che il compito di un buon giornalista dovrebbe essere un altro: rendere conto di come funzionano i soccorsi, del perché le strutture più recenti non hanno retto, di ciò che si pensa di fare ora per garantire una sollecita ricostruzione e per impedire nuove violazioni delle regole.
 Se queste finalità diventano secondarie, l’indugiare sull’immagine forte, sul particolare macabro, sulle lacrime e – viceversa – l’enfasi utilizzata per celebrare i soccorritori, gli «eroi», costituiscono una ricetta già pronta per vendere la cronaca, impressionare e aumentare gli ascolti. L’Aquila diventa un altro studio di Vespa, col suo modellino in scala della casa di Cogne. E qui “infilo” due appendici che c’entrano fino a un certo punto e che probabilmente saranno accolte male da alcuni/e.
 La prima. È mai possibile che solo le tragedie di questa portata, con morti e feriti riescano a scuotere il cuore dei potenti? È chiaro che la risposta potrebbe essere che neppure queste tragedie ci riescono, però è un fatto che i governi reagiscono – per convinzione o per utilità – alle calamità naturali con grande dispendio di uomini e mezzi. Dice di farlo e, entro certi limiti lo fa – Berlusconi in Abruzzo. Aveva promesso di farlo con milioni di dollari di aiuti l’ex presidente Bush dopo lo Tsunami. Ciò che non può la sofferenza di cittadini precari, offesi in mille modi nei diritti e vittime della “necessità” di alcuni di guadagnare sulla pelle degli altri, riesce a procurarlo a volte un’
esplosione improvvisa di violenza. È il tabù della morte che fa sì che sfruttare una persona e peggiorarne la qualità di vita va bene, ma è scandaloso quando questa finisce con violenza.
 Seconda considerazione. Se la cosiddetta informazione occidentale avesse dato ai bombardamenti di Gaza la stessa copertura che dà alle vittime del sisma, oggi l’opinione pubblica mondiale chiederebbe a gran voce di processare Olmert, Livni e Barak per crimini di guerra. Ve li vedete tanti inviati a Gaza, sotto le bombe, intenti a mostrare la distruzione, i morti estratti dalle macerie, le ambulanze sotto il tiro di Tsahal, gli oggetti che spuntano dalle case crollate – libri, giocattoli – e infine le lacrime dei superstiti che sanno che alla prossima “scossa” potrebbe toccare a loro? Non è la stessa cosa, naturalmente, eppure a Gaza i morti sono stati di più (oltre 1300) e l’aggravante è che lì la devastazione della città non è imputabile ai movimenti della crosta terrestre.


 Approfondimenti:
 
Sciacallaggi [dal blog Femminismo-a-Sud]

 Nazionalismi da tragedie [dal blog Femminismo-a-Sud]
 Paolo Berdini, Un paese in pericolo [dal manifesto del 7 aprile 2009]
 Sul blog:
 
Berlusconi provvede ai terremotati. E li consiglia
 «Lo Stato non vi abbandonerà»
 Sciacalli in Abruzzo

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