8 marzo: Cappuccetto Rosso

 Il bosco
 Mi appello alla benevolenza della corte.
 Quello che segue è un racconto che pubblico in occasione dell’8 marzo,
per ricordare che mentre si festeggia, commercialmente, la Festa della
Donna, ancora bisogna lottare, quotidianamente, non solo per rendere
effettive quelle pari opportunità di cui tanto si parla, ma addirittura per garantire il rispetto della persona di tante donne, e talvolta bambine, vittime di disparità di trattamento, di violenza e a volte di femminicidio.
 Ho fatto appello alla corte.
 Perché il racconto che segue l’ho scritto io, che sono un uomo.
 Perché il racconto che segue c’entra e non c’entra con l’occasione. Parla anche, più in generale, dei tempi bui in cui viviamo.
 Perché non so com’è venuto.
 Penso, comunque, di essere in buona fede.
 

 La fiaba di Cappuccetto Rosso

 


 C’era una volta,
tanti anni fa, una ragazzina che viveva con la mamma in una casetta al
limite del bosco. Era un’adolescente come tante, con i suoi problemi e
tanti sogni nel cassetto, ma a differenza di molte altre adolescenti
aveva una giacchetta rossa che portava sempre su di sé, con un
cappuccio rosso. Per questo tutti la chiamavano Cappuccetto Rosso. Un
brutto giorno, però, la borsa di Wall Street scese in picchiata,
condizionata dal crollo repentino del mercato edilizio (il lupo cattivo
soffiava, soffiava e la maggior parte delle case veniva giù, fatta
eccezione per quelle in solida muratura). In breve, poiché da cosa
nasce cosa, la crisi economica cominciò a dilagare e si racconta che
molti re e regine dovessero trasformare in bed and breakfast i
loro castelli per pagare alla banca le rate del mutuo. Mentre la crisi
infuriava, tuttavia, madre e figlia continuavano la loro vita di tutti
i giorni: avevano un orto dal quale ricavavano le rape e un pozzo per
l’acqua. L’energia per scaldarsi, infine, era garantita dai pannelli
solari disposti sopra il tetto. Un mattino la mamma chiamò Cappuccetto
Rosso.
 «Bimba mia»,
le disse. «La crisi economica ha fatto molte vittime e non tutti sono
fortunati come noi che abbiamo le rape dell’orto e l’acqua del pozzo. È
giusto che chi ha di più aiuti chi non ha». «Lo vedi questo paniere?»,
chiese quindi la donna, porgendo a Cappuccetto Rosso un cesto ricolmo
di cose buone. E Cappuccetto, che aveva la vista di un’aquila, rispose:
«Sì».
 «Portalo alla casa di riposo», sorrise la mamma. «Dallo alla signora Renza che ha giocato in borsa la pensione ed è rimasta con la Social card».
 «Poveretta!», disse Cappuccetto, che voleva bene alla signora Renza come a una nonna.
 La bambina
stava per avviarsi quando la mamma le fece un’ultima raccomandazione:
«Attenta, Cappuccetto, quando attraversi il bosco! Tieniti sempre sul
sentiero e non parlare a nessuno». Per raggiungere la casa di riposo,
infatti, bisognava attraversare una foresta scura e, all’idea di
passare di là, Cappuccetto si sentì tutta rabbrividire. Poi si fece
coraggio, calzò le cuffie dell’i-pod e cominciò ad andare lungo il
sentiero. Dapprima attraversò alcuni prati, poi l’erba lasciò spazio ai
cespugli, quindi i cespugli abdicarono in favore degli alberi di fusto
più alto e in breve la bambina fu inghiottita dal buio col suo
cappuccio rosso e con il panierino. Mentre pensava fra sé a quanto
fosse spaventosa quella selva selvaggia e aspra e forte, le batterie
dell’i-pod si esaurirono e nel silenzio caduto su di lei, Cappuccetto
Rosso sentì come un frusciare di serpi. Si girò e vide sgusciare fuori
da un cespuglio una specie di biscione sorridente, che attaccò a
parlare con accento brianzolo e sembrava non dovesse mai smettere. La
bambina non sapeva se sentirsi infastidita o ammaliata dal biscione
incantatore, che alternava domande a lusinghe e moine.
 
Il bosco

 «Consentimi, sei proprio
una bella bambina: tra qualche anno potrai fare la velina di Striscia,
ma adesso è un po’ presto, cribbio, avrai appena undici anni, quanti
anni hai?»
 «Undici», rispose la bambina che aveva dimenticato le raccomandazioni della mamma.
 «Ma vedo che sei già una signorina!
Con quel sorriso lì… Lo sai? Ti voglio fare un regalo: qualche trucco,
magari un vestito. Non potrà farti che bene, così quando uscirai con le
amiche sarai la più apprezzata dai ragazzi. Dovrai sorbirti qualche
anno di scuola, poi, raggiunta la maturità, un po’ di palestra e, al
limite, un ritocchino al seno e potrai entrare nel salotto della De
Filippi, come corteggiatrice o anche già come tronista, le doti ce le
hai… Confido molto in te, faremo strada… Ma ora vieni con me, oltre i
cespugli, in cambio dovrai darmi qualcosa: che porti nel paniere? Ma
quante cose buone… Vieni con me, togliti quella ridicola giacca rossa
che sembri pure comunista e vediamo che cosa si può fare…»
 Le ultime parole
del biscione ebbero lo stesso effetto di una secchiata d’acqua:
Cappuccetto ricordò di colpo che cosa aveva detto la mamma e
soprattutto che doveva andare dalla signora Renza, e portarle il
paniere con tutte quelle cose buone che la crisi economica rendeva
necessarie. E poi il biscione sembrava un po’ troppo invadente: aveva
incominciato a strusciarsi contro le sue gambe e ora con il corpo
flessuoso tentava di aggrovigliarlesi addosso, di venir su e ghermirla.
La bimba cacciò un urlo e prese a correre: parole strane, oscure, il
cui significato non le era del tutto chiaro presero a formarsi nella
mente: le aveva sentite sia alla televisione che al catechismo, ma né
la televisione, né il catechismo l’avevano aiutata a capire di che cosa
si trattava: «violenza», ad esempio. Violento è chi ti picchia, ma il
biscione non voleva picchiarla. «Stupro» e «stupratore», ad esempio, ma
che cos’è uno stupro? Si ricordava che la madre, una volta, aveva
iniziato un discorso strano, ma poi l’aveva guardata e aveva detto che
era presto, che sarebbe stato meglio continuare un’altra volta. Si girò
e con grande smarrimento si accorse che il biscione la seguiva,
ansimante, gli occhi luccicanti, lasciando, dietro di sé, un filo di bava: era
appena dietro di lei. Cappuccetto non ce la faceva più: a furia di correre era rimasta senza fiato, l’aria che
entrava nei suoi polmoni sembrava rovente; stava per gettarsi a terra e
darsi per vinta, quando, a una svolta del sentiero, intravide la
salvezza: un gruppo di persone, alcune nerborute, altre un po’
sminchiate, ma tante, grazie al cielo, tante!, il
cellulare sfavillante in fondina, la gomma da masticare in bocca, gli
occhiali neri a specchio. Alcuni indossavano magliette attillate di
marca, altri camicione verdi sguaiate. Altri ancora avevano felpe con
la scritta «Tanti nemici tano onore» e tenevano il braccio alzato al
cielo, teso a toccare i rami più bassi degli alberi. Impossibile
sbagliarsi: era una ronda!
 Cappuccetto
si sentì rincuorata: la televisione aveva detto che le ronde servivano
ad aiutare i cittadini per bene, a garantire la sicurezza, che – sia
detto per inciso – non è né di destra né di sinistra, servivano… La
bambina si fermò di colpo, prese fiato e aveva cominciato a dire: «Meno
male», quando fu interrotta da un uomo nerboruto che disse:
«Bentornato, presidente».
 Il biscione
non rispose al saluto, ma ordinò ai propri gorilla di tener ferma la ragazza;
otto paia di mani si avventarono su Cappuccetto Rosso per bloccarla e
in un istante la bambina si ritrovò immobilizzata. Il biscione prese a
strisciare verso di lei, lentamente stavolta, come pregustando la
propria vittoria. Cappuccetto chiuse gli occhi e si preparò a ciò che
doveva accadere.
 
Ciò che poi accadde davvero,
però, fu totalmente inaspettato. La ronda fu attaccata da un
commando di donne e uomini macilenti, malconci, dai vestiti laceri e dagli occhi febbricitanti. Erano le vittime della crisi economica, le
casalinghe-lavoratrici-a-contratto-con-prole, i precari, i licenziati
Alitalia, i martiri di Brunetta e Gelmini, le coppie di fatto, quelli
che -semplicemente- non ne potevano più, varie decine di migliaia di cassaintegrati, un
pugno di pacifisti normalmente nonviolenti assoluti ma nella
circostanza piuttosto incazzati (quanno ce vò ce vò!), i
comitati per la difesa del territorio, i sindacati di base, qualche
pezzo della Cgil e chi più ne ha più ne metta: forze soverchianti,
insomma, se solo sapessero di esserlo. Circondarono la ronda
fascio-leghista e presero in consegna una Cappuccetto Rosso
assolutamente terrorizzata, che ancora non aveva capito che la stavano
liberando. Infatti, non appena si accorse che nessuno la
tratteneva, la bambina sgattaiolò oltre un ligustro e corse via
veloce, verso la casa di riposo, col panierino miracolosamente ancora
stretto tra le mani.
 Giunta all’ultima svolta del sentiero,
Cappuccetto Rosso si preparò a scorgere con gran sollievo la
mole della casa di riposo. Invece non vide un bel nulla. Fece ancora
qualche passo, ma inutilmente. Sembrava che la casa non fosse mai
esistita. Continuò comunque la sua strada. Ora gli alberi lasciavano di
nuovo il posto ai prati e ai cespugli, ma della casa non si vedeva
traccia. Giunta alla fine del sentiero, al posto della casa di riposo
Cappuccetto Rosso trovò un cantiere. C’era un cartello giallo, con una
scritta nera; diceva: «Addio casa di riposo, stiamo costruendo una base
americana».
 Era firmato dalla ditta Wolf.
 
 PS:
Intendo rassicurare lettrici e lettori sulla sorte della signora Renza
e degli altri ospiti della casa di riposo. A mo’ d’indennizzo per
averli costretti a lasciare la loro residenza, il governo ha provveduto
a “collocare” i degenti in adeguate strutture. Agli ospiti affetti da
demenza senile è toccata la Casa del Grande Fratello: la malattia gli
ha consentito d’integrarsi subito fra gli abitanti della Casa e di
partecipare alle loro discussioni filosofiche. I restanti anziani sono
stati smistati in altri reality: i più fortunati sono stati
inviati alla Fattoria, dove hanno potuto farsi l’orto e battere la
crisi economica. La signora Renza si è specializzata nella coltura
delle rape. Anche gli ospiti di nazionalità straniera hanno trovato
accoglienza in altri tipi di struttura. Purtroppo, rischiano di essere
mandati via dopo 18 mesi.

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2 risposte a 8 marzo: Cappuccetto Rosso

  1. Ivan scrive:

    Uéhhh

    Che fantasia !!!

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