Scuola: ma quale accordo?

 
 Stasera mi è capitato di sentire, dopo tanto tempo, i titoli del Tg1. Non ci sono più abituato, non ho gli anticorpi e forse è per questo che sono rimasto scioccato. «Governo-sindacato accordo scuola», urla il televisore. Dice che la riforma delle superiori slitterà di un anno, mentre il maestro unico sarà “attivato” qua e là, solo su richiesta delle famiglie. Vado a vedere su internet e m’imbatto in Walter Veltroni che commenta, serafico: «Vedo che il Governo sulla scuola fa una completa marcia indietro. Vuol dire che aveva ragione chi ha protestato».
 Accordo. Situazione risolta. «Una completa marcia indietro».
 Ma di che cosa stiamo parlando?
 Del tentativo di archiviare una faccenda scomoda, il primo grande intoppo incontrato dal governo Berlusconi. Del tentativo di nascondere la polvere sotto il tappeto, come per i rifiuti campani.
 Andiamo con ordine:
 1. Quale sarebbe la marcia indietro del governo? Berlusconi s’è accorto che l’opposizione (quella nel Paese, nelle scuole) era più forte del previsto. Gli serve almeno un anno per mediare, ammiccare, per convincerci tutti che ciò che è stato previsto si farà. Nessuna retromarcia, giusto un piccolo temporeggiamento. Il maestro unico non è (ancora) obbligatorio. La riforma delle superiori è rinviata di un anno. Bella vittoria, Veltroni.
 2. Decideranno le famiglie. Io insegno alle medie, ma credo che poche cose al mondo siano difficili come formare le prime elementari, mettendo assieme bimbi piccoli e ancora sconosciuti. Il governo che si propone come alfiere della semplificazione amministrativa dà ai genitori la possibilità di scegliere: nello stesso istituto, alcuni alunni andranno a scuola per 24 ore alla settimana, altri per 27, altri per 30. E gli insegnanti dovranno fare i salti mortali per assicurare il servizio anche alle nuove condizioni.
 3. Dare alle famiglie la discrezionalità sul modello didattico (almeno relativamente al numero degli insegnanti e a tutto ciò che ne deriva) e sull’orario preferito significa (una volta di più) mortificare gli addetti ai lavori. Come insegnante non posso non rilevare che ogni volta che si parla di questioni cruciali per la salute e la vita del cittadino, come ad esempio l’eventuale ritorno al nucleare, o la costruzione di un termovalorizzatore, o magari l’apertura di una discarica, la politica mette a tacere le persone più coinvolte (gli abitanti delle zone interessate) con la scusa che i vari comitati, i vari ambientalisti NON SONO ADDETTI AI LAVORI. Vogliono saperne di più degli esperti? Di chi davvero conosce la materia? Se si parla di scuola, invece, tutti possono dire la loro, tutti possono decidere, non si richiama all’esistenza di addetti ai lavori, gli insegnanti. Il principio ispiratore delle riforme è l’economia, non la didattica, così va bene tutto, anche che siano i genitori a decidere quanti insegnanti dovrà avere il figlio, anche che nella stessa classe ci siano tre modelli orari diversi. Non importa se quei genitori (che certo hanno il diritto d’interessarsi della vita scolastica dei propri figli) hanno o non hanno conoscenze di didattica, o almeno una vaga idea di come funziona il processo di apprendimento in una società sempre più complessa. Non importa neppure se hanno un’idea di come la scuola sia cambiata rispetto a quando erano loro dietro i banchi. Vuole così il governo? Pazienza. Ma che questo criterio, apparentemente democratico, valga per ogni cosa: se come insegnante devo vedere che la mia qualifica di addetto ai lavori può essere “estesa” a tutti, pretendo di godere anch’io dello stesso beneficio. Non si fa più la TAV. Perché? Perché non la voglio. Mi sono consultato con la mia famiglia e ho deciso. Sai quante famiglie in Val di Susa sarebbero d’accordo. Scordatevi il nucleare. Non mi va. A Vicenza niente base. Oppure base sì, ma solo per alcuni. Studiate voi come si può fare.
 La differenza è che le cose che ho citato qui sopra sono davvero inutili e/o pericolose. Ma a difenderle si chiamano gli esperti perché sono cose che muovono milioni. La scuola pubblica, invece, per il governo è destinata all’estinzione (o comunque allo sfascio). Per la classe dirigente ci sono le scuole d’élite.
 4. Il problema vero di tutte le riforme scolastiche che si sono susseguite negli ultimi anni in Italia è che invece di mettere più soldi (magari a condizione di usarli meglio) si è continuamente tagliato. La “riforma” Gelmini prevede nuovi tagli. Anche a questo è stato trovato un rimedio attraverso l’accordo gridato dal Tg1?
 5. Scuola primaria e secondaria di I e II grado non esauriscono la questione. In fermento c’è anche l’università, che rifiuta di trasformarsi in fondazione privata con tanto di sponsor nel consiglio d’amministrazione.
 6. Domani c’è lo sciopero generale che riguarda (anche) la scuola. Mi pare estremamente sospetto il tempismo del governo (e del Tg1) nel dare la notizia dell’accordo. Una maniera semplice per depotenziare le ragioni dello sciopero. Certo, lo sciopero nazionale ha la finalità di protestare contro la maniera in cui il governo sta affrontando (se affrontare è la parola giusta) la crisi economica, non è esattamente uno sciopero anti-Gelmini. Però è innegabile che un po’ di propaganda non guasta mai e che le ragazze e i ragazzi (e qualche professore) dell’Onda sono negli ultimi tempi i veri protagonisti delle manifestazioni antigovernative e lo saranno anche domani. Tante e tanti, però, dopo aver visto il Tg1, si chiederanno: «Ma cosa protestano ancora? Hanno avuto soddisfazione su tutto». Tanto sulla scuola il governo ha fatto «una completa marcia indietro». Parola di Walter Veltroni.
 Buono sciopero a tutt*, ce n’è proprio bisogno!

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2 risposte a Scuola: ma quale accordo?

  1. luigibio scrive:

    il tg1 ovviamente brilla per leccaculaggine come il tg4 di fede, per cui parlava di scelta del ‘maestro unico prevalente’, ma se nella legge c’è un articolo che si intitola ‘maestro unico’ un qualche motivo ci sarà. La vera informazione non dovrebbe leccare il culo al premier, ma INFORMARE!

  2. Mario scrive:

    Esatto. E poi c’è il problema dei problemi: almeno 87 mila insegnanti precari a casa… Di questi il Tg1 non ha parlato per niente!

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