Quei cartelloni vergognosi

 Perché la politica la voglion fare loroLa prima volta che lo vedo non ci credo. Possono farlo davvero? È legale? Uno si aspetta che un partito al governo da 30 anni (parlo dell’Union Valdôtaine e del governo valdostano) abbia acquisito un po’ di senso delle istituzioni. Ma evidentemente sbaglio, se è vero ciò che ho davanti agli occhi. In un cartellone (che subito fotografo) siamo invitati a disertare l’appuntamento del 18 novembre, il primo referendum propositivo d’Italia. Così: né più né meno… Come se andare a votare non fosse un dovere civico o come se il nuovo strumento non avesse un’importanza intrinseca, che va oltre il testo dei singoli quesiti referendari. Nessuno obbliga nessuno a votare sì, ci mancherebbe, ma andare contro un istituto come questo, in un momento in cui i cittadini cercano in tutti i modi lo spazio per esercitare un po’ di democrazia diretta, è onestamente offensivo. “Pas de sens, pas de vote”: nessun senso, niente voto. Come se i cittadini non avessero la capacità di discernere se un referendum sia importante o meno, come se gli elettori avessero bisogno del permesso di qualcuno per andare a votare. O della balia.
 Senza contare che i signori che c’invitano a disertare le urne non han tenuto conto di un problema. Dal momento che la consultazione delle liste elettorali è pubblica, l’invito all’astensione rischia di suscitare la tentazione di controllare il voto: se chi è contrario al referendum invece di votare no se ne rimane a casa, infatti, qualche simpaticone potrebbe contare quelli che hanno affluito alle urne e metterli sul suo libro nero… Possibile che i garanti delle nostre istituzioni regionali non vi abbiano pensato? O non sarà piuttosto per questo che boicottano l’appuntamento referendario?
 Comunque la si metta, mi sa di presa in giro… Ospito le considerazioni di Francesco Cordone, un Amico di Comboé, che, dopo aver visto i cartelloni incriminati, è rimasto anche peggio di me e ha iniziato a consultare testi giuridici nel tentativo di rispondere a questa domanda: ma è legale invitare al non voto?
 
 Oggi ho visto in piazza della Repubblica, negli spazi riservati alla campagna referendaria, i primi manifesti dell’alleanza Union, Fédération e Stella alpina che invitavano all’astensione. La cosa mi è parsa così grottesca, antidemocratica e illegittima che subito, sdegnato, mi sono rivolto a persone certamente più competenti per avere lumi sulla questione. Ebbene, chi per un verso chi per l’altro, hanno cercato di condurmi a più miti consigli e ad abbandonare le mie bellicose idee. Ora, sbollita l’ira iniziale, voglio però proporre queste mie brevi riflessioni, frutto di alcune letture notturne di questi ultimi giorni.
 
 Noi continuiamo a definire il referendum come il massimo istituto di democrazia diretta. In realtà la democrazia diretta non esiste come forma moderna di governo e pertanto la nostra definizione, in termini di teoria empirica, è errata e fuorviante. Il referendum non rappresenterebbe altro che la prosecuzione della competizione politica con mezzi aggiuntivi rispetto a quelli delle elezioni per le assemblee rappresentative e legislative. Proprio come in qualsiasi consultazione elettorale, lo svolgimento dei referendum si caratterizza per l’azione di leader, di partiti politici, di gruppi di interesse e di pressione, di movimenti, di mezzi di comunicazione. Di questo abbiamo quotidiane dimostrazioni nella nostra realtà. E dunque, quale e quanto controllo hanno i governanti sul referendum? Quale e quanto controllo esercitano i governanti sui governati in occasione di una consultazione referendaria? Le principali teorie in merito non sembrano molto rassicuranti.
 
 La richiesta di astensione dal voto rappresenta la via più semplice per affossare qualunque referendum popolare. Considerando l’astensionismo fisiologico almeno pari al 30%, è sufficiente convincere a non votare una minoranza di cittadini (pari al 25% circa dell’elettorato) per boicottare qualsiasi referendum propositivo. E illudersi che le tre forze sopra citate non siano in grado di muovere questi numeri mi pare quanto meno avventato. Purtroppo, si può serenamente dire che, di fronte all’astensione, qualsiasi richiesta di referendum nasce morta. E a conferma di ciò basta guardare gli esempi della recente storia italiana.
 
 Una chiara denuncia non solo dell’antidemocraticità, ma anche dell’illiceità delle pretese astensioniste rappresenterebbe un punto a nostro futuro vantaggio (e questo anche, e lo voglio dire piano, in caso di una nostra sconfitta); ovvero una pronuncia giudiziale o da parte di una qualche autorità garante che bocci la campagna astensionista eseguita con i mezzi di una qualunque campagna referendaria mi sembra rappresentare un nostro sicuro obiettivo. E parlo di pronuncia istituzionale, in quanto ritengo che anche i nostri avversari sappiano bene che quella del buon senso risiede dalla nostra parte! E tale illegittimità è quanto vorrei fosse dimostrata in questa seconda parte.
 
 Due sono dunque le questioni da affrontare, cioè se sia lecito astenersi dal voto e se sia lecito invitare a disertare le urne. L’articolo 48 della Costituzione stabilisce che il voto è personale e uguale, libero e segreto e che il suo esercizio è dovere civico. Secondo il pensiero comune (ad onore del vero di nessun costituzionalista, però!) questa norma sarebbe applicabile solo alle elezioni e non ai referendum in ragione, credo, di una superiorità della democrazia rappresentativa sulla democrazia diretta, per cui diverrebbe legittimo non votare. Questo argomento non ha alcun fondamento dottrinale ed è contraddetto dalla Corte costituzionale, che sancisce che i principi contenuti nel secondo comma dell’articolo 48 (il voto è personale, libero, segreto e il suo esercizio costituisce un dovere civico) valgono per tutte le consultazioni (SENTENZA 2 LUGLIO 1968, N. 96).
 
 Un altro equivoco va poi chiarito: per dare forza al precetto contenuto nell’articolo 48 della Costituzione, l’articolo 115 del T.U. delle leggi per l’elezione della Camera prevedeva, per chi si asteneva, la menzione “non ha votato” nel certificato di buona condotta. La norma, abrogata nel 1993, non ha in alcun modo trasformato il voto da dovere civico in piena libertà. Senza una formale modifica alla Costituzione, infatti, niente autorizza a ritenere abolita, insieme alla sanzione, la doverosità del diritto di voto. Anzi, nessuno può più definire doveroso solo perché sanzionato il voto nelle elezioni e non nei referendum, così come sostenuto fino al 1993. Così come affermato a chiare lettere da Giorgio Lombardi in Contributo allo studio dei doveri costituzionali, votare nelle elezioni e nei referendum era e resta un dovere costituzionale, pur trattandosi di un dovere privo di qualsiasi sanzione. Astenersi dal voto è al più, quindi, un comportamento lecito, ma non per questo costituisce esercizio di un diritto costituzionale. In una consultazione referendaria, nell’atto di votare non rientra affatto il comportamento di chi si astiene dal voto. Vota solo chi si reca alle urne, scegliendo tra tre possibilità: votare sì, votare no, astenersi nel voto (scheda bianca o nulla). Chi non si reca alle urne non vota e la sua scelta non può, in alcun modo, essere parificata a quella di chi sceglie di recarvisi. Tale assunto è costantemente confermato dalla Corte costituzionale (SENTENZA N. 173 ANNO 2005 e SENTENZA N. 372 ANNO 2004).
 
 A volte si argomenta, infine, che l’astensione sarebbe un diritto perché prevista surrettiziamente dall’articolo 75 della Costituzione con l’inserimento al comma quarto del quorum strutturale. Si affermerebbe, cioè, che riconoscendo come presupposto della validità del voto referendario la soglia della maggioranza degli aventi diritto al voto, si ammetterebbe nel contempo la libertà di non votare. Ma questo assunto si dimostra immediatamente privo di fondamento, basti pensare al referendum costituzionale, previsto dal secondo comma dell’articolo 138, nel quale non è previsto alcun quorum strutturale: l’assenza di quorum, infatti, dovrebbe comportare l’obbligatorietà del voto! L’assurdità di tale conclusione dimostra la debolezza della premessa.
 
 Altra conferma dell’impossibilità di equiparare il non voto al voto contrario è dato dalla stessa legge sui referendum (L 352/1970). L’articolo 37 disciplina le conseguenze della vittoria dei sì con l’abrogazione della legge, mentre l’articolo 38 sancisce gli effetti di una vittoria dei no, con l’impossibilità di reiterazione dei referendum nei cinque anni successivi. Nulla prevede, invece, per il caso di non raggiungimento del quorum strutturale. E allo stesso modo la Corte costituzionale si è espressa nel 2000 in sede di reiterazione del referendum contro la quota proporzionale, che l’anno precedente non aveva raggiunto il quorum, smentendo l’equiparazione tra astensione del voto e voto contrario all’abrogazione.
 
 Infine, l’irrilevanza giuridica dell’astensione dal voto è dimostrata dalla disciplina della propaganda referendaria radiotelevisiva, disciplinata dalla legge n. 28/2000. All’articolo 3, comma secondo, viene detto che gli spazi radiotelevisivi devono essere ripartiti in misura eguale tra i favorevoli e i contrari al quesito referendario, escludendo qualsiasi valore alla posizione di chi invita a disertare le urne. Voglio ricordare ancora che nel 2005, a livello nazionale, l’Authority per le Telecomunicazioni aveva previsto che nella campagna per la procreazione assistita le posizioni da tenere presenti nella ripartizione degli spazi fossero solo quelle dei sì e quelle dei no. (Sembra, invece, che, a livello locale, sembra esserci una delibera che permette tale propaganda, in palese contrasto con la normativa vigente.)
 
 Questo dibattito è già stato ampiamente sviscerato in occasione del referendum sulla procreazione assistita del 2005. In particolare vorrei segnalare la posizione, forse un po’ estrema, di Michele Ainis («C’è davvero una terza via fra il sì e il no che la nostra Carta consegna alla volontà degli elettori? Per chiunque sappia di diritto, la risposta non può che essere una sola: l’astensionismo militante è una frode alla Costituzione. E il fatto che la frode duri ormai da tempo, la rende semmai ancora più grave» – La Stampa, 12 maggio 2005, pag. 1 – L’astensione è un trucco), che ricorda l’applicabilità dell’articolo 98 del T.U. delle leggi elettorali (d.P.R. 361/1957), cioè la punibilità per chiunque, investito di un pubblico potere o di una funzione civile, si adoperi ad indurre all’astensione gli elettori, anche in sede di referendum (art. 51 legge 352/1970).
 
 E vengo alla seconda questione, in merito alla valutazione del comportamento di chi fa propaganda per l’astensione. Da parte di alcuni si ritiene che, come qualsiasi forma di propaganda, anche l’invito a disertare le urne sia pienamente legittimo, rientrando nella più ampia libertà di manifestazione del pensiero garantita dall’art. 21 della Costituzione. La libertà di manifestazione del pensiero, però, non è priva di limiti. Un conto, infatti, è la libertà delle idee (che possono anche essere eversive dell’ordine costituzionale), un conto sono le idee che si traducono in azioni destinate a incidere sull’esercizio di diritti costituzionali o addirittura a sovvertire l’ordinamento costituzionale. Un conto allora è la propaganda per l’astensionismo come manifestazione di opinione, altro conto è la propaganda che si risolve in un’azione organizzata volontariamente per coartare il libero convincimento dell’elettore. Del resto, è la Costituzione (art. 48) a esigere che il voto sia libero, ossia privo di costrizioni o di forme di coazione della volontà del cittadino elettore. E la Corte costituzionale è molto rigorosa nel chiedere il rispetto di quel principio, ritenuto un valore fondante dei processi di decisione popolare e delle regole per la propaganda elettorale e referendaria (SENTENZA N. 502 del 13-17 NOVEMBRE 2000). Organizzare la diserzione dalle urne, al limite, può risolversi in una forma surrettizia di controllo sociale della partecipazione al voto, con conseguenze anche sull’effettività del principio di segretezza del voto. E temo che da noi questo controllo sia addirittura la prima causa dell’invito all’astensione.
 
 L’invito a disertare le urne, ancorché riconducibile all’ambito della libertà di propaganda, meriterebbe di essere differentemente apprezzato anche in ragione dei soggetti che lo manifestano. Altro è l’appello al non voto fatto da un comune cittadino, altro l’invito a disertare i seggi svolto da chi è titolare di cariche pubbliche. Con riferimento a questi ultimi, non sarebbe così astruso ipotizzare un dovere di correttezza costituzionale che imponga loro di rispettare le regole democratiche e i diritti dei cittadini. La Costituzione del resto prescrive per i partiti e, quindi, anche per i titolari degli organi costituzionali l’obbligo di partecipare alla vita politica con “metodo democratico” (art. 49), così come per i funzionari pubblici è previsto un agire imparziale e responsabile (art. 28). Questo significa che la libertà di opinione, che è parte della libertà dell’agire politico di coloro che hanno responsabilità istituzionali (come il Presidente della Regione, i vari Assessori, Sindaci, ecc.), trova un limite più stringente che non nei confronti del comune cittadino proprio nell’esigenza di rispettare le leggi e le regole della dialettica democratica.
 
 E veniamo infine alla disciplina della campagna elettorale per ciò che concerne i manifesti: l’articolo 1 della legge 212/1956 recita che l’affissione di stampati e manifesti, inerenti direttamente o indirettamente alla campagna elettorale, o comunque diretti a determinare la scelta elettorale, è consentita solamente negli appositi spazi. A mio parere, come sopra dimostrato, i manifesti che propongono l’astensione non potrebbero trovare spazio tra quelli della campagna elettorale proprio perché il non voto è estraneo alla manifestazione di voto. Però, a questo punto, potrebbero trovare spazio altrove e non sono certo che questo per noi sarebbe un vantaggio (anche se devo ammettere che un’eventuale sanzione per questa affissione potrebbe giocare a nostro vantaggio!). Occorre assolutamente dimostrare la non liceità di tali manifestazioni di pensiero.
 
 Francesco Cordone


 Sull’argomento leggi anche questo, questo e questo.
 Sulla politica valdostana leggi Curzio Maltese su Repubblica.
 Per introdurre il referendum propositivo in Italia e abrogare il quorum in quello abrogativo, firma la petizione on line.
 
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2 risposte a Quei cartelloni vergognosi

  1. licenzafissa scrive:

    manifesto il mio sostegno alle considerazioni del sig. Cordone. Ho provato anch’io un qual senso di nausea a vedere i partiti di governo regionale lanciati in una campagna a favore dell’astensionismo…roba da pippo inzaghi della politica, e non è un complimento.
    I complimenti invece glieli devo fare (ma solo per quello!) per avere trovato slogan potenti e capaci probabilmente di fare breccia sulle masse valdotaines, oltre che sulle coscienze sdegnate dei promotori e sostenitori dei referendum…peccato solo che gli argomenti che giustificherebbero (a lor parere) la scelta astensionistica siano del tutto approssimativi e unicamente mirati a “gettar letame sull’altro”, cosa che riesce ancora meglio essendo in vda, anzichè cercare di approfondire i contenuti dei 5 quesiti referendari.
    vabbè, l’unica mia speranza è che, come è successo l’anno scorso con le elezioni nazionali, i valdostani sappiano andare oltre gli slogan e pensare con la propria testa…sarebbe la cosa più importante.

    molto bello, e realista, l’articolo di curzio maltese, che non avevo ancora letto

    ciao e buon voto
    PS: il 18 i miei amici scrutatori-controllori mi inseriranno sulla lista nera dell’union (ah già, ma forse c’ero già, che sbadato!)

  2. Mario scrive:

    Sei in buona compagnia!

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