Il caso Emergency e i doveri del governo

A volte non basta leggere il giornale, confrontarsi con gli altri, magari esternare le proprie irritazioni in un blog. A volte un cittadino sente l’impulso imperioso a prendere la penna e interpellare direttamente chi comanda. A tal proposito, il navigante che abbia fatto naufragio in queste pagine potrà facilmente accorgersi della frequenza con cui chi scrive invia i propri messaggi al capo del governo. Manie di protagonismo? Un ego tracimante? Può darsi.
Ma anche il disperato bisogno di fare qualcosa di concreto, di prendere di petto almeno le ingiustizie più grosse.

Della guerra, in questa sede, si è parlato più volte. È stato detto dei rischi di escalation, della pericolosità della politica americana in Medio Oriente, delle ingiustizie, dell’incapacità nostrana di svincolarci da un progetto aberrante e, com’è sotto gli occhi di tutti, fallimentare: la guerra permanente di Bush.
I nostri soldati, è vero, si trovano in Afghanistan su mandato Onu. Ma partecipano a un’operazione Nato voluta e diretta da Washington. I nostri ragazzi – come li chiama la retorica – vanno a fare la guerra e pensano di essere in missione di pace.
Viviamo in uno strano periodo, in uno strano Paese. Ma siamo cittadini e, in fin dei conti, decidere che forma dare al nostro Stato dipende anche da noi. Non credo sia possibile restare in silenzio a ogni nuova porcheria, a ogni prova dell’inconciliabilità tra l’etica, la legge e la ragion di Stato, spesso ridotta alla “necessità” della classe dirigente di perpetuare se stessa.
Il problema è che i cittadini dimenticano. Dimentichiamo in fretta.
Il 4 marzo scorso veniva rapito dai talebani il giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo. Insieme a lui, i due collaboratori afgani, l’autista Sayed Agha e l’interprete Adjmal Naqshbandi. Per gestire la crisi, com’è noto, il governo italiano incaricava l’ong Emergency di tenere i contatti con i rapitori.
Il 19 marzo Daniele Mastrogiacomo era liberato. La stessa sorte non è toccata ai due afgani, entrambi uccisi dai rapitori.
La mattina del 19 marzo, quasi un mese fa, gli uomini dei servizi segreti di Kabul sequestravano Rahmatullah Hanefi, il mediatore di Emergency, l’uomo che aveva ottenuto la liberazione di Mastrogiacomo trattando con i talebani su richiesta del nostro governo. Una trattativa che aveva attirato su Roma e Kabul gli strali dell’amministrazione americana, contraria all’idea di uno scambio di prigionieri.
In molti abbiamo creduto, in molti, tuttora, riteniamo plausibile che da ciò, non da altro, sia motivato l’arresto dell’intermediario di Emergency, “colpevole” agli occhi del premier afgano Karzai di avergli attirato addosso l’ira americana. In più di 150.000 abbiamo sottoscritto l’appello di Emergency al governo italiano, perché non lasci solo Rahmatullah.
Hanefi è a tutt’oggi desaparecido, senza che si sappia con esattezza su cosa si basino e forse neppure quali siano le imputazioni contro di lui. In molti pensiamo che il governo italiano non stia facendo abbastanza per chiarire la vicenda. Gino Strada, il chirurgo fondatore di Emergency, ha minacciato più volte di lasciare l’Afghanistan. La risposta del governo di Kabul è stata l’accusa, ridicola, di una complicità tra l’ong italiana e i terroristi di Al Qaeda, basata sul fatto di non aver mai voluto fare distinzioni tra feriti buoni e feriti cattivi, ma di aver curato, attraverso un lavoro «neutrale e umanitario» 1.551.000 afgani, di tutte le parti in guerra. A questo proposito Vittorio Arrigoni sul suo blog contrappone con grande pertinenza le tesi afgane al giuramento di Ippocrate, che impegna tutti i medici al dovere assoluto di salvare ogni vita.
In questo modo, però, da accusatore Gino Strada è stato trasformato in imputato e già qualche giornale italiano, insieme ad alcuni nostri illuminati politici, afferma che le accuse dei servizi afgani vanno vagliate con attenzione.
Per questo dico che ci dimenticheremo in fretta di Rahmatullah: perché i termini della questione sono stati modificati. Karzai ha giocato al rialzo, passando da sequestratore a garante dello Stato. Ma comunque si voglia vedere la questione, Rahmatullah Hanefi ha agito per conto del governo italiano e su sua espressa richiesta. Prodi ha il dovere morale di gettare luce sulla questione.
Intanto, lo scorso 11 aprile, il personale straniero di Emergency ha lasciato l’Afghanistan. Possiamo immaginare il dissidio di Strada e dei suoi, combattuti tra il desiderio di continuare a salvare vite umane e la necessità di salvaguardare l’incolumità del personale di Emergency. In ogni caso, una cosa è certa: una volta di più è stato gettato fango su chi ancora, attraverso l’aiuto umanitario, gratuito e volontario, difende con i fatti lo statuto morale di un occidente sempre più compromesso dalla propria politica e dalle proprie menzogne.
(Tutte le notizie sul "caso" Emergency sul sito di peacereporter)
Torno brevemente a quanto dicevo all’inizio: di fronte all’ingiustizia, bisogna agire. Anche se non si otterranno risultati concreti. Sarà comunque un modo per non dimenticare, per non lasciarsi investire e sorpassare da nuovi fatti e nuove mistificazioni. L’umile proposta di chi scrive (pur nella consapevolezza di non avere a disposizione una grande cassa di risonanza) è quella di copiare e incollare la seguente frase, corredandola di nome, cognome e città di residenza, più la precisazione (eventuale) “cittadin* italian*”, per poi inviarla al presidente Prodi (trasparenzanormativa@governo.it).

Ecco il mio fac-simile:

 
“Presidente Prodi, esprimo la mia solidarietà a Emergency e la mia preoccupazione per la sorte di Rahmatullah Hanefi. Chiedo al mio governo di fare di più”.

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2 risposte a Il caso Emergency e i doveri del governo

  1. Tafanus scrive:

    Caro Mario, per eccesso di pignoleria: il Nobel per la Pace è l’inico assegnato da Oslo e non dalla Svezia, ma non so ancora quale sia il comitato competente.

    Tafanus

  2. Mario scrive:

    Hai ragione, Tafanus, il nobel per la pace è assegnato da un Comitato norvegese che conta cinque membri. Lo stesso Nobel aveva dettato le proprie volontà al Club svedese-norvegese di Parigi.

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