Il camminante – da Mesagne a Latiano

Ho già pubblicato questo articolo – pensate un po’ – nell’agosto del 2008. Lo ripubblico ora, sull’onda della lettura del bellissimo «Terracarne», di Franco Arminio. Anche a me piace vagare per i luoghi (non per forza i paesi, anche), e osservare, riflettere, lasciar vagare la mente.

Passeggiata Mesagne – Latiano

Mesagne e Latiano sono due comuni della provincia di Brindisi, uniti dalla superstrada Lecce-Taranto e da due provinciali. Quella vecchia, poco transitata dalle macchine, è un nastro d’asfalto che si snoda tra i campi e gli ulivi. Mi piace percorrerla a piedi, sotto il cielo enorme, che comunica, a chi come me è abituato alle montagne, l’idea dell’infinito. Se guardi bene all’orizzonte, girando lento su te stesso, hai l’impressione di vedere la volta celeste, di riuscire a seguirne la curvatura. Un passo dietro l’altro, come sempre, lungo il ciglio della pista, buttando l’occhio alla campagna. Tanto il calore del sole, quanto la forma del paesaggio comunicano un’impressione di eternità. Come se questi ulivi ci fossero sempre stati, colle radici ben piantate nella terra rossa e i rami verdi al cielo. Ho visto file di tronchi simili a colonne di cattedrale, strani ghirigori disegnati in terra sotto gli alberi, la carcassa delle cicale aggrappata alle cortecce, i muri bianchi di pietre, a secco. Ho visto i rovi con le more, la vite, mi sono sentito ospite della Magna Grecia. Sono tornato alla realtà, di tanto in tanto, alla presenza di qualche mucchio d’immondizia, ma poca cosa, giusto gli scarichi abusivi di qualche privato, che si libera così delle cose più impensate, ad esempio i vecchi sanitari. Ho seguito l’asfalto, fatto di passi, fino al paese, vi sono penetrato, come faceva lo straniero, un tempo, quand’eravamo nomadi.

«Eravamo tutti nomadi, una volta», mi dice il parroco di Latiano. Lo incontro mentre sto per tornare indietro, lasciandomi il paese alle spalle. Io sono a piedi, lui in macchina. Si propone di darmi un passaggio; gli spiego che sono lì per camminare. Le persone trovano sempre strano che uno voglia andare a piedi. Però la cosa lo intriga, mi dice quella frase, che tutti eravamo nomadi, e non capisco se si riferisce al genere umano o agli abitanti di Latiano. Poi mi suggerisce una variante: invece della provinciale, posso prendere una stradina più piccola, che taglia verso Mesagne attraversando altri campi, altri ulivi. Mi accompagna fino all’imboccatura, quindi ci salutiamo e parto.

 

 
 
 
 
 
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Questa zona evoca, in me, i tempi antichi, quando queste terre parlavano greco, o forse più in là, quando l’essere umano incominciò a essere umano. Mi vengono in mente i cibi semplici, quelli «sacri», come il pane e il vino, il filo d’olio che condisce i piatti. Se il cielo volge al buio affretto il passo. È come se il tempo fosse quasi scaduto – mi sono attardato troppo – o se qualcuno, mentre vado, mi allungasse la strada sotto i piedi. Una volta sono stato sorpreso dal temporale: non ho mai visto piovere a quel modo; è stato come se d’un tratto le chiuse si fossero aperte e l’acqua fosse caduta giù, tutta insieme, non trovando più ostacolo. Mi sono bagnato al punto che non volevo chiedere un passaggio alle poche auto che passavano, nonostante la paura dei lampi. Non ricordo bene, ma mi sembra di aver sentito, qualche tempo dopo, che un fulmine aveva colpito un albero o un capanno, a pochi passi da dov’ero passato.

Poi l’acquazzone se ne va com’è venuto e la furia degli elementi lascia il posto alla quiete.

Recentemente, in questa zona, hanno approntato alcuni itinerari «cicloturistici». I nomi scelti sono altisonanti: Messapia (dal nome degli antichi abitatori di queste terre, i messapi), Bizantina, Appia… Hanno sistemato i cartelli indicatori, hanno rifatto la segnaletica verticale. Così lungo la strada convivono segnali dai colori sgargianti e avvisi mezzo cancellati, che indicano pericolo: «Vai piano, strada polevrosa e pericolosa».

Non sopporto, nei pressi degli abitati, i cani delle ville: non puoi passare accanto ai giardini che saltano in piedi e ti abbaiano contro, anche se sei a piedi e vai per i fatti tuoi; a ogni cancello cambio lato della strada, terrorizzato dal fatto che qualcuno possa averlo lasciato aperto… Gli automobilisti e i motociclisti mi superano chiedendosi perché cammini da solo sotto il sole, lontano dalla città. I podisti mi superano e io mi chiedo perché fatichino in quel modo da soli sotto il sole.

I ciclisti sfrecciano veloci.

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