Lettera dal Campeggio della Memoria

Ricevo e pubblico volentieri una lettera aperta del Tavolo antifascista valdostano, che ha tenuto un «Campeggio della Memoria» in Valgrisenche (Aosta) nelle stesse giornate e nella stessa vallata in cui la Muvra, gruppo escursionistico legato all’associazione neofascista CasaPound, teneva il proprio raduno nazionale. Il luogo scelto è simbolico: durante la guerra, al Col du Mont, morirono 33 uomini costretti a lavori di corvée dai fascisti che, i nostalgici hanno più volte cercato di trasformare in “martiri” della Repubblica sociale…

Lettera aperta all’ANPI, alle forze democratiche, agli antifascisti

Noi che abbiamo promosso e partecipato al Campeggio della Memoria in Valgrisenche, nelle stesse giornate in cui il gruppo neofascista di Casapound teneva lì il suo raduno nazionale, abbiamo concordemente avvertito l’esigenza di informare tutti coloro che mantengono la fede nei valori della Resistenza dell’esperienza che abbiamo vissuto e di alcune delle riflessioni che ne sono scaturite. Vogliamo contribuire al risveglio della coscienza democratica e antifascista, secondo l’insegnamento di Giacomo Ulivi che, poche ore prima di essere fucilato dai nazifascisti, invitava i suoi compagni di lotta a «guardare ed esaminare insieme che cosa? Noi stessi, per abituarci a vedere in noi la parte di responsabilità che abbiamo dei nostri mali».

Che cosa abbiamo fatto e quali insegnamenti abbiamo tratto dalla nostra esperienza?
Abbiamo fatto una cosa molto semplice: siamo andati a Valgrisenche per seguire, forse inconsapevolmente, l’indicazione che Piero Calamandrei diede nella conclusione del suo «Discorso sulla Costituzione» all’Umanitaria di Milano, il 26 gennaio 1955, introducendo un ciclo di conferenze sulla Carta costituzionale.

«Se voi volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione».

Bene, siamo andati in pellegrinaggio dove trentatré operai sono morti a causa del cinismo di un fascista servo dei nazisti. Uno che, per ingraziarsi i propri padroni, non ha tenuto in nessun conto gli avvertimenti di chi, conoscendo la montagna, denunciava il forte pericolo di valanghe. Un assassino.

Abbiamo ripercorso il sentiero del Col du Mont e rivisto il punto dove è caduta la valanga. Un imbuto, al termine di una piana, dove convergono pendii scoscesi, veri e propri scivoli che favoriscono la discesa della neve. Una visione agghiacciante. Ci siamo poi ritrovati al cippo che ricorda questi morti. Qui abbiamo incontrato due figlie superstiti di Angelo Frammarin, uno degli operai sepoliti dalla valanga. Erano lì, a presidiare il cippo, per timore che qualcuno di quelli di Casapound salisse a profanarlo. E quello che ci è venuto in mente è che quello era il posto dove in quel momento doveva stare un democratico antifascista,  seguendo l’indicazione di Calamandrei che ammoniva: «ogni giorno, sulla libertà bisogna vigilare, vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica».

Paolo Momigliano Levi [ex direttore dell’Istituto storico della Resistenza di Aosta e consigliere comunale nel capoluogo valdostano della lista civica Sinistra per la Città, ndr] ha condotto la commemorazione, che è stata molto semplice e sentita.

A turno, ognuno dei partecipanti ha letto una breve scheda biografica di uno degli operai morti. Poche notizie: nome, cognome, data e luogo di nascita, nome dei genitori, residenza, professione e specializzazione alla Cogne [l’acciaieria di Aosta, ndr]. Nome della moglie e dei figli. Notizie schematiche, certo, ma sufficienti a ridarci plasticamente una immagine reale di queste persone: operai, padri di famiglia, gente comune, gente come tutti noi. Immagini che suscitano sentimenti di pietà umana per chi ha perso la vita, di solidarietà per tutte quelle vedove e quegli orfani che a causa della tragedia hanno vissuto, assieme a un immenso dolore, non sopito dal tempo, anche condizioni di gravi difficoltà economica (le figlie di Frammarin ricordavano che la loro mamma  fu assunta alla Cogne come fattorina e con un salario pari alla metà di quello di un lavoratore maschio, perchè questa era la discriminazione nei confronti delle donne).

Infine sentimenti di rabbia e di indignazione verso chi quegli uomini ha mandato a morire, e verso chi, ancora oggi, cerca di presentarli come martiri della RSI, volontari delle brigate del lavoro, come fa la rivista online della Fondazione RSI (!!!) ACTA. (vedi: www.fondazionersi.org).

Un vero sfregio alla loro memoria, che ha scatenato la rabbia delle figlie di Angelo Frammarin, quando ne sono state informate.

Proprio loro ci hanno ribadito l’importanza di mantenere viva la memoria di questi fatti, perché nulla di questo abbia a ripetersi, perché si continui a lottare per realizzare le indicazioni contenute nella Carta costituzionale.

Una indicazione ribadita più tardi, durante il dibattito che si è svolto a Valgrisenche, dalla bella lettera che Ida Désandré [deportata politica valdostana nei Lager nazisti, ndr] ci ha indirizzato. Un dibattito intenso, ricco, non formale.

Ecco, un’esperienza che ha dato torto a chi ha ritenuto inopportuno partecipare di persona, mosso da preoccupazioni che si sono rivelate del tutto infondate, come la possibilità di esaltare il raduno di CasaPound (la popolazione ci ha fatto avere attestazioni di solidarietà, il sindaco di Valgrisenche ha partecipato al nostro dibattito) o l’incredibile preoccupazione che si potessero «provocare situazioni incontrollabili» come ha affermato – e ce ne dispiace profondamente – il presidente regionale dell’ANPI, Marino Guglielminotti Gaiet, dimostrando poca fiducia non solo in chi ha indetto la manifestazione, ma anche nei confronti delle forze dell’ordine che hanno svolto i loro compiti con assoluta discrezione. Tutto si è svolto nella maniera più tranquilla.

La lezione finale? Beh, in sintesi: mantenere viva la memoria delle radici della Repubblica democratica, fondata sul lavoro e nata dalla Resistenza (alla faccia di chi vorrebbe modificare l’art. 1 della Costituzione) e rendersi conto che la Costituzione, prima di essere cambiata, avrebbe bisogno di essere realizzata.

Come? Per esempio «rimuovendo gli ostacoli, di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’articolo primo “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza con il proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica» (dal discorso sulla Costituzione di Piero Calamandrei).

Ogni commento appare superfluo. Continuiamo a impegnarci, a discutere, a lottare.

ORA E SEMPRE, RESISTENZA

Tavolo Antifascista Valdostano
20 luglio 2011

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