La riserva naturale di Vendicari

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Camminante ma poco, ultimamente.

Ansioso di andar per campagne, timoroso dei cani, desideroso di placare, camminando, l’inquietudine.

Troppo breve il tratto percorso nella riserva naturale di Vendicari (Siracusa) per poterne parlare come si deve. Troppo breve a fronte dei molti chilometri possibili, “accorciati” dall’ora, dall’acqua sul sentiero, dai capricci di mio figlio, quest’oggi in modalità piagnucolio continuo.

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E tuttavia qualche parola voglio dirla, sul mio passeggio tra le canne, su passerelle basse di legno, tra l’acqua dolce degli aironi e quella blu del mare. La spiaggia è ricoperta – meglio, costituita – da alghe e spugne tonde; il percorso spesso si perde in lunghe pozzanghere.

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È un’immagine lussureggiante della Sicilia: tutt’altro che arida, l’isola ci accoglie verde di primavera e colorata di fiori.

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La strada che si spinge in mezzo all’acqua, alla volta dell’antica tonnara posta in riva al mare, assomiglia a un istmo sottile, ma è straordinariamente presente, concreta. Gli uccelli, lontani, se ne stanno a mollo, oppure si levano in volo e si accomodano sul tetto di una casupola, forse per guardarci attraversare le acque.

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Giungiamo alla tonnara.

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Secondo il cartello la struttura, oggi abbandonata, è stata attiva almeno dal XVII secolo. Ciò che rimane è un edificio affascinante, caratterizzato da file di colonne che fanno pensare a un tempio antico. La particolarità del luogo, la posizione in riva al mare, la sua sobria eleganza non possono non farmi pensare a quanto sia bello: mi dico che sarebbe il posto ideale per una rappresentazione teatrale, o per un reading poetico.

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Eppure, non riesco a non pensare allo scopo per cui quell’edificio, dalle forme quasi rasserenanti, è stato costruito. È da un paio di mesi che mi definisco «blandamente vegetariano», una categoria intermedia tra il carnivoro che sono sempre stato e il vegetariano vero. Diciamo che mi dispiace sempre di più per gli animali uccisi, e – pur non avendo smesso del tutto di mangiare carne – cerco di farlo il meno possibile.

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Sarà per questo, dunque; sarà per il contrasto tra l’idea della morte e la solarità classica della pietra; sarà la presenza, inquietante, della ciminiera; in ogni caso non riesco a non provare un senso di pena, soprattutto leggendo le parole del cartello esplicativo, che ricorda l’esistenza di una costruzione sottomarina, l’«Isola», suddivisa in stanze, l’ultima delle quali si chiama «camera della morte» perché al suo interno, a un cenno del Rais, il capo della tonnara, «è mattanza».

Usciamo dalla tonnara e ripercorriamo la strada a ritroso, evitiamo il grosso delle pozzanghere con piccole deviazioni. Raggiungiamo la macchina.

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